Un bustino in bronzo nella portineria di Rcs organizzazioni. Un container di rose alla compagna. Cene a vita nel ristorante a scelta. L’intitolazione di una via o di una piazza. Qualcosa di serio, cioè: qualcosa che davvero renda l’idea dell’importanza e del significato di questo gesto memorabile compiuto nel 2024 da Pogacar. Il gesto non è venire al Giro d’Italia. Il gesto vero è salvare il Giro d’Italia.
Spero ardentemente che gli organizzatori se ne siano resi conto. Anche se un po’ dubito, perché in azienda sono ancora un po’ fermi alle glorie del passato, alle posizioni di rendita, a questa idea che il Giro sia il Giro e poco importa chi ci viene, è il Giro che fa i corridori, non i corridori che fanno il Giro. In più, aggiungo che il padrone Cairo non è esattamente un tizio che ami scialare, investendo senza esitazioni e senza braccini, per cui ho proprio il timore che il bustino in portineria Pogacar se lo dovrà scordare. E col bustino, le rose per la compagna. Alla fine, capacissimi di raccontarci che Pogacar l’hanno accettato a malincuore, proprio perché lui frignava, insistente e fastidioso, ma sì, facciamolo venire, purchè la finisca, ma chi sarà mai questo Pogacar.
Al netto delle ironie, Pogacar in Giro per l’Italia ha la portata di un mezzo miracolo e della mezza botta di. Anzi intera. Il 2024 stava prospettandosi come l’annata più penosamente critica della gloriosa storia rosa, comunque una delle peggiori, con la concomitanza da brivido: nessun campione al Giro (al massimo Thomas, senza mancargli di rispetto ormai oggettivamente un congedante), in contemporanea la terribile coincidenza del confronto diretto, sulle nostre strade, un mese dopo, al cospetto del Tour. Senza farla lunga col perché e col percome, che ciascuno è in grado di cogliere benissimo da solo: un autentico cataclisma. A livello di promozione, di reputazione, di qualità intrinseca dei due avvenimenti. Era come se nella stessa stagione della Scala andassi a dirigere io e subito dopo Muti. Penoso.
Diciamocelo senza tante ipocrisie: Pogacar santo subito. E poi lascio a chi ne abbia voglia tutti i ma, i se, i però. Persino in questo caso ne leggiamo a getto continuo: Pogacar viene in Italia solo perché così attenuerà l’ennesima Caporetto al Tour con Vingegaard, Pogacar viene perché qui non ha avversari, Pogacar viene solo per allenarsi, Pogacar vincerà un Giro che vale pochino... Ecco, questo ed altro lo lascio tutto. Primo, perché se Pogacar qui non trova Vinge è solo perché Vinge non viene, secondo perché Pogacar è comunque il campione fenomenale che ancora avverte il fascino della doppietta Giro-Tour, terzo perché sono sicuro che al Giro non farà flanella, non sarà un turista, ma sicuramente si impegnerà allo spasimo, essendo un fuoriclasse assoluto, uno di quelli - pochissimi - dalla fame esagerata e insaziabile, fosse anche solo nel giro del cortile.
Ma soprattutto non sto a sottilizzare su Pogacar al Giro, a fare lo schizzinoso, a sollevare eccezioni, perché tutto viene sovrastato e cancellato dalla portata direi catartica e taumaturgica del suo arrivo, cioè capace da sola di salvare - almeno per quest’anno - l’intero sistema del Giro e in fondo del ciclismo italiano, proprio nel momento di peggiore congiuntura e delle più nere previsioni.
Benvenuto Taddeo. Grazie Taddeo. Nel mio piccolo, per quel che conta, da italiano ti accolgo a braccia apertissime e spero vivamente non tanto che tu sia degno del Giro (cosa di cui non dubito minimamente), ma piuttosto che il Giro sia degno di te. Personalmente, provo a sdebitarmi con una promessa: se vincerai, giuro solennemente che non scriverò - e nemmeno penserò - di una vittoria piccola, facile, minorata. Questo torto non te lo farò mai. Se vincerai, sarà un grande autografo sul Giro. E se qualcuno solleverà puntualmente la questione che non c’era Vinge, vada a chiedere a Vinge perché non c’era. E magari non vada solo da Vinge.
da tuttoBICI di febbraio