Moretto, all’anagrafe Pacifico Di Consiglio, romano di Ottavia, e Bucefalo, all’anagrafe Lazzaro Anticoli, romani di Trastevere, pugili: catturati, imprigionati, destinati ai campi di concentramento, e qui, con altri mille ebrei romani, consumati, sfiniti, gassificati.
Manlio Gelsomini, anche lui romano, anche lui ebreo, centometrista, campione italiano, atletica leggera ma anche rugby, nonché medico chirurgo laureato: una spiata lo consegna nelle mani dei tedeschi, e da loro sarà assassinato.
Gottfried von Cramm, barone tedesco, tennis, vittorie al Roland Garros e a Wimbledon: perseguitato perché contrario a Hitler, si rifiuta di diventare il simbolo della propaganda nazista, viene arrestato e imprigionato con l’accusa di omosessualità.
Maurizio Nacmias, triestino, vigile del fuoco volontario, lottatore: quando si aggiudica il prestigioso trofeo Raicevich, a chi gli chiede l’origine del suo cognome, risponde che a Trieste è normale avere nomi strani. Ma per sfuggire all’antisemitismo dovrà trasferirsi e cambiare identità, fino a entrare in una brigata partigiana.
Charlie Yelverton, cresciuto ad Harlem, salvato dal basket, reclutato dalla Nba, caduto in disgrazia per aver protestato contro la guerra nel Vietnam, sopravvissuto suonando un sax e guidando un taxi, poi ancora basket, ma in Europa, in Italia, giocando e insegnando, insegnando perfino a un ragazzino che si chiama Kobe Bryant.
E Ferdinando Rollando, detto Nando, ligure, amante delle montagne, da scalare e dove sciare: adotta un ragazzo afgano, lo istruisce e lo allena, fino a portarlo quasi alla magica qualificazione olimpica nel 2018.
Massimiliano Castellani e Adam Smulevich hanno scritto “A futura memoria” (Minerva, 176 pagine, 18 euro), storie di piccoli e grandi eroi esemplari dello sport, storie conosciute o trascurate, storie a piedi o a pugni, storie di donne e uomini, storie di vittorie e sconfitte, dove le sconfitte sono le persecuzioni, le prigioni, i martiri, gli assassini. Come Alfredo Ravaldini, romagnolo di Gatteo Mare, prigioniero durante la Seconda guerra mondiale nella zona del Don, imprigionato e internato in Siberia, scampato al congelamento riscaldandosi con il motore del trattore cui è stato assegnato, tornato in Italia e poi ritornato in Unione Sovietica, e qui fuoriclasse del motociclismo, prima su una Isch poi su una S358 nella classe 350, e laureatosi in Ingegneria dopo 65 esami e a 56 anni.
C’è anche il ciclismo alla nostra futura memoria. Da Gino Bartali, postino per la pace, che trasporta documenti falsi per regalare identità nuove agli ebrei perseguitati, a Major Taylor, il primo campione nero, che in pista batte anche pregiudizi dovuti non al tipo di fede ma al colore della pelle. E la vicenda delle nazionali di ciclismo afghane, sfuggite alla dittatura talebana e giunte in Italia in un corridoio umanitario costruito grazie alla solidarietà governativa e istituzionale, sportiva e religiosa. “Sono un essere umano, una donna e una ciclista – le parole di Marjan Seddiqi -. Per andare in bicicletta ho rischiato la vita. Mi hanno sparato ma non ho rinunciato. Col ritorno dei talebani sono fuggita, ho trovato una nuova casa e adesso sto per disputare la mia prima gara in libertà”.
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