Che cosa c’entra Eugenio Monti, bob, con Wilma Rudolph, atletica? Che cosa lega Katarina Witt, pattinaggio su ghiaccio, a Juan Antonio Corbalan, pallacanestro? Che cosa unisce Jackie Robinson, baseball, e Rafaela Silva, judoka?
Non gli sport, non la nazionalità, non il sesso, non l’epoca, neppure i successi. A renderli partecipi di una stessa squadra, o di una stessa famiglia, o di uno stesso livello, sono i loro valori. Non tanto sportivi, ma umani. Perché alcuni di loro sono campioni, ma altri no. Però tutti sono fuoriclasse. Hanno inventato, realizzato, regalato qualcosa di speciale, imprevisto, unico. Qualcosa che supera i confini della competizione. E che entra in un’altra dimensione. E che diventa un esempio. Per tutti.
Per esempio: Eugenio Monti e il suo frenatore Sergio Siorpaes – Olimpiadi di Innsbruck 1964, bob a due – prestarono un bullone a Tony Nash e Robin Dixon, inglesi, con cui duellavano per la medaglia d’oro. Meglio secondi, ma generosamente, che primi, egoisticamente, come poi sarebbe accaduto. Quanti altri lo avrebbero fatto?
Per esempio: per Wilma Rudolph, conquistati tre ori nei 100, 200 e staffetta 4x100 – Olimpiadi di Roma 1960, atletica -, al ritorno negli Stati Uniti fu organizzata una parata cittadina. Lei pose una condizione: bianchi e neri, tutti insieme, non separati come avrebbero voluto le autorità. Ci riuscì. La prima volta in 200 anni di storia. Quanti altri lo avrebbero chiesto?
Federico Meda con le parole e Serena Mabilia con i disegni hanno scritto e illustrato “Fuoriclasse” (Raum Italic Edizioni, 80 pagine, 18,50 euro), 15 storie di 15 sport per ispirare gli adulti di domani. Raccontano anche di Duke Kahanamoku (surf), Ian McKinley (rugby), Werner Seelenbinder (lotta grecoromana), Ibrahim Hamadtou (ping pong), Lilian “Lily” Parr (calcio), Kathrine “Kathy” Switzer (maratona), Yusra Mardini (nuoto), Stephen Rodger Waugh (cricket) e Maria Toorpakai Wazir (squash). E lo fanno con garbo, grazia, leggerezza, sentimento, convinzione. Lo sport è il bello della vita. A noi il compito di custodirne – appunto – i valori. Perché i risultati diventano statistiche, invece i valori si trasformano in principi.
Fra i 15 sport non c’è il ciclismo, che pure ha i suoi fuoriclasse. Un nome per tutti: Gino Bartali. Ma siamo certi che sarà per la prossima volta. Perché “Fuoriclasse” merita almeno una seconda puntata. E magari anche una terza.
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