Brindisi, 11 settembre - Il cicloamatore Massimo Ferilli, di 58 anni, originario di Gagliano del Capo (Lecce), è deceduto a causa dello scontro con un auto sulla strada provinciale 74, all'altezza del Palazzetto dello Sport di Montemesola (Taranto), mentre stava partecipando al “Trofeo Madonna della Fontana – Granfondo Team Fuorisoglia”, competizione amatoriale del calendario FCI organizzata dal Team Fuorisoglia, con partenza e arrivo a Francavilla Fontana (Brindisi).
Il ciclista, secondo i primi accertamenti ad opera dei Carabinieri di Taranto, sarebbe stato travolto, in un tratto in discesa, da una vettura condotta da un 46enne di Montemesola che stava facendo ritorno alla propria abitazione.
Le indagini dovranno stabilire come mai la vettura stesse transitando in quel punto, nonostante i vari presidi predisposti lungo il percorso di gara.
Lo sfortunato cicloamatore era rimasto distanziato dal grosso degli altri ciclisti e lo scontro sarebbe avvenuto mentre il “fine gara” non era ancora transitato.
Fin qui la cronaca che non vorresti mai raccontare, la perdita di una vita, lo sconcerto di chi si prende la responsabilità di organizzare le gare, le paure di chi ha il compito di promuovere il ciclismo.
L’ennesima dolorosa circostanza per ricordare quando sia importante la ricerca e l’impegno sul tema della sicurezza.
Cose che in ogni caso possono accadere, su cui occorre riflettere, pur senza mai azzardare valutazioni su fatti che solo le autorità competenti possono accertare nei loro accadimenti e relative responsabilità.
Una cosa però non dovrebbe accadere, questa proprio no, leggere che il Presidente del Comitato Regionale pugliese della FCI, così dichiara sul giornale “Quotidiano di Puglia” di due giorni dopo: «Non so come si è venuta a trovare l’auto sulla pista, ma nelle gare amatoriali c’è la figura del direttore di corsa e, inoltre, viene stilato un piano che dovrebbe garantire l’incolumità parziale. Si tratta di incolumità parziale perché ovviamente, per il resto, gli atleti che partecipano alle manifestazioni sono tenuti al rispetto del codice della strada che rende obbligatorio viaggiare sulla carreggiata di destra salvo chiusura totale del percorso che però si verifica solo nelle tappe di corse professionistiche come il Giro d’Italia».
Affermazioni di evidente incompetenza che fanno carta straccia dell’art. 9 del CdS, Disciplinare, ruolo e poteri delle scorte tecniche, imposizioni delle ordinanze di sospensione temporanea del traffico di qualsiasi gara ciclistica o granfondo regolarmente autorizzata. Con l’aggravante dell’improvvido concetto di «sicurezza relativa».
Dichiarazioni che umiliano tutto quanto in questi anni la FCI ha ottenuto a tutela dei ciclisti e degli organizzatori, quando almeno tra di noi dovrebbe essere scontato che, nello spazio tra l’inizio gara ed il fine gara, possono transitare solo i soggetti ammessi alla corsa (corridori, moto e vetture) senza dovere rispettare, per loro sospese, le norme dell’ordinaria circolazione stradale quali, ad esempio, la mano da tenere ed i sistemi automatici di trattenuta (cinture di sicurezza), mentre l’ordinanza prefettizia, impone a tutti i veicoli estranei alla corsa di fermarsi accostando a destra, questi si, finché la corsa non è transita per intero, ovvero fino al passaggio del fine gara.
Principi che andiamo ripetendo da oltre vent’anni in tutte le sedi, dai nostri corsi di formazione alle aule dei tribunali, per scoprire ancora oggi, addirittura da parte di dirigenti di elevata responsabilità, interpretazioni che, se prese sul serio, avrebbero l’effetto di assegnare in automatico la colpa agli innocenti e l’assoluzione ai colpevoli.
Scivoloni del genere non ce li possiamo permettere e tanto meno tacere ed è compito delle strutture federali competenti intervenire perché non abbiano a ripetersi.