Il boato di una grande folla accoglie Jai Hindley nell’Arena di Verona. Il ventiseienne della Bora Hansgrohe ha appena vinto il Giro d’Italia ed è incredulo, è il primo australiano a riuscirci ed ora guarda il Trofeo Senza Fine ammirando il suo nome, l’ultimo in ordine cronologico tra tanti campioni. Ci sono gli applausi, le urla di supporto, ma il grido più grande di tutti viene da una coppia in mezzo la platea che tiene stretta la bandiera australiana: i due cantano a squarciagola l’inno del loro Paese, trattengono a stento le lacrime. Sono Robyn e Gordon Hindley, i genitori di Jai, sono venuti dall’Australia per supportare il figlio nel momento più importante della sua carriera e sono carichi di orgoglio.
Jai Hindley non vedeva i suoi genitori dal febbraio 2020 quando il suo Paese, entrato in lockdown con misure rigide, aveva vietato a chiunque provenisse dall’estero di entrare senza troppe tribolazioni. Mesi difficili, infiniti, in cui il portacolori del team Bora Hansgrohe poteva comunicare con loro solo attraverso uno schermo a migliaia di chilometri di distanza: per tre volte ha cercato di prendere un biglietto aereo per poi vedersi cancellare il volo subito dopo. Entrato in Arena dopo la cronometro ha lasciato la bici sul tappeto rosa ed è corso ad abbracciarli, tra lacrime trattenute a fatica ed un’emozione che è scivolata via. In quell’abbraccio tra loro ci sono anni di sacrifici, la scelta di diventare ciclista che ha richiesto rinunce spesso difficili.
«Quando vuoi diventare un ciclista e vieni dall’Australia non è semplice: per correre devi andare in Europa, lontano da casa e non è semplice ritornarci appena finita la corsa, le distanze sono molto grandi» aveva spiegato Jai nei giorni di Giro. Il destino tra mille avventure lo aveva portato in Italia, a Montesilvano, in Abruzzo dove era cresciuto sotto lo sguardo attento di Umberto di Giuseppe, la stessa regione che sul Blockhaus gli ha regalato la vittoria di tappa al Giro 2022, l’inizio della sua scalata verso la maglia rosa.
Robyn e Gordon non stanno nella pelle, applaudono con il petto carico di orgoglio e dicono ai presenti che loro figlio ha appena vinto il Giro, proprio non riescono a crederci. Fermano chiunque per dare la bella notizia e quando ci notano con un pass al collo si presentano raccontandoci la loro storia che li ha portati dall’altra parte del mondo. Gordon è il più espansivo tra i due, il ciclismo gli scorreva nel sangue fin da ragazzo quando viveva in Inghilterra, i suoi miti erano Eddy Merckx e Patrick Sercu ed è così che anche lui ha corso in bicicletta. È restato in sella dal 1966 al 1983 per poi dedicarsi al tifo e ai suoi figli, è stato lui che ha messo Jai in bici per la prima volta ed è diventato allenatore quando il suo se ne era andato negli Stati Uniti. Robyn invece è più riservata ma con uguale passione, è stata lei una delle prime sostenitrici di Jai e ammette di essere stata la “colpevole” del suo approdo al rugby «in molti non lo sanno ma ha anche giocato a rugby - ci dice prendendoci da parte - colpa mia lo ammetto, volevo che facesse un gioco di squadra e penso che un po’ gli sia anche servito».
Due anni fa mentre a Milano il figlio perdeva il Giro nella crono finale, Robyn e Gordon erano incollati al televisore a migliaia di chilometri di distanza, non potevano lasciare il paese per colpa della pandemia e quel giorno se lo ricordano benissimo. Gordon ci spiega la tristezza del figlio, ma anche come quella sconfitta gli sia servita per migliorare, per crescere come atleta e come uomo e lavorare a fondo sulle sue debolezze.
Grazie a quel Giro seguendo il figlio i coniugi Hindley hanno iniziato a conoscere l’Italia, guardavano la Rai quando non c’erano ancora le dirette integrali e sanno qualche parola in italiano. Jai è il loro secondogenito mentre il primo, Kay, preferisce i viaggi al ciclismo, ci spiegano come da bambini fossero legati nonostante le differenze e i gusti diametralmente opposti. «Jai è tranquillo, parla poco, ma lavora tanto, è sempre stato così» ci spiega Gordon che intanto, poco lontano ha avvistato Francesco Moser. E’ uno dei suoi miti e gli si avvicina dandogli la mano con ormai una presentazione che è diventata di rito: «sono il papà di Jai».
Nell’arena le premiazioni procedono e Robyn e Gordon applaudono a tutti quanti, li conoscono, a loro modo hanno tifato anche per loro. Il ciclismo è un mondo magico, ci dice Gordon prima di salutarci, i due non vedono l’ora di abbracciare il figlio un’altra volta e festeggiare con lui. La gioia è tanta e sperano che quel trofeo senza fine sia il primo di tanti successi, a settembre si corre il mondiale sulle strade di casa e i coniugi Hindley si stanno già attrezzando per il tifo, si allontanano abbracciati e con il sorriso stampato sul volto e ci assicurano che una volta ritornati a Perth organizzeranno una festa incredibile.
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