Ieri nel concitato finale della tappa tante sono state le cadute e numerosi sono stati i traumi subiti dagli atleti coivolti. Alcuni hanno dovuto anche abbandonare la corsa rosa per colpa di commozioni cerebrali rimediate. Questa mattina abbiamo chiesto al Professor Giovanni Tredici di spiegarci come vengono trattati questi tipi di traumi e cosa è cambiato con l'introduzione del procollo UCI ad esso dedicato.
«Il protocollo pubblicato a dicembre 2020 ha messo in evidenza un problema, forse irrisolvibile per la natura del ciclismo, che c'è sempre stato e per fortuna è stato notevolmente ridotto dall'uso obbligatorio del casco. Dal 2003 si sono ridotti notevolmente i traumi fratturativi, prima mediamente registravamo due fratture craniche per Giro. Ora le cose vanno decisamente meglio. Detto questo il ciclista che cade è portato a rimontare in sella il più in fretta possibile e, un medico esperto, ha il 60-70% di probabilità di individuare correttamente un trauma cranico. Io sono un neurologo e 29 anni fa sono stato contattato dagli organizzatori della corsa rosa proprio per affrontare questa problematica» racconta il responsabile dello staff sanitario del Giro d'Italia.
A differenza di altri sport di squadra in cui un atleta che ha subito un colpo in testa può essere sostituito da un compagno e può essere monitorato con la dovuta calma dai medici, in una gara di ciclismo siamo abituati a vedere i corridori rimontare in sella al volo.
«Il protocollo non autorizza a fermare un atleta, sollecita solo una maggiore attenzione al riguardo. Non prevede una formazione specifica per i medici al seguito delle gare né dei team, anche perchè una formazione ad hoc la si può maturare solo dopo anni di lavoro in ospedale. Non c'è un sistema di diagnosi oggettivo che permetta di stabilire se un trauma è importante o meno nei tempi imposti dal ciclismo. Se tengo fermo un atleta per 10' rischia di finire fuori tempo massimo. Senz'altro è importante l'osservazione nelle ore e nei giorni successivi. Personalmente in 30 anni non ho mai fermato un corridore sul posto per un trauma cranico. Nel momento dell'incidente è importante poter valutare immediatamente l'atleta, essere presenti rapidamente e valutare se presenta delle difficoltà, ma alcuni sintomi impiegano ore ad emergere» prosegue il professor Tredici.
I corridori, soprattutto in una corsa a tappe prestigiosa come il Giro, non ne vogliono sapere di fermarsi. In gara, quando finiscono a terra più corridori, i medici di gara non possono vigilare su tutti e per questo il ruolo dei medici sociali che conoscono più a fondo i propri corridori è fondamentale. «Tutte le diagnosi vengono discusse. Non ci sono parametri oggettivabili, fattibili per fermare un atleta, se ha picchiato la testa lo si tiene sott'occhio per rilevare atteggiamenti inaspettati, a volte anche gli esami diagnostici (la tac è considerata l'esame principe per questo tipo di diagnosi, ndr) possono non essere sufficienti. Ricordo il caso di un ragazzo che dimesso dall'ospedale è stato diagnosticato mesi dopo per un trauma cranico perchè la tac non aveva rivelato anomalie e lui non diceva di non stare bene. A volte i ragazzi non vogliono nemmeno essere visitati. Accettano di sottoporsi a una radiografia ma non vogliono che metti loro una mano addosso. I segni neurologici comportano un po' di tempo ad emergere».
Il professor Tredici ci racconta di un corridore che nel Giro del '96 era caduto e non voleva saperne di ritirarsi. Il giorno dopo il compagno di camera lo aveva avvertito che aveva le vertigini, solo dopo 45' di colloquio riuscì a convincerlo che era meglio ritirarsi anche per il suo futuro stagionale. Un altro riportò un trauma cranico commotivo in volata, non servì arrivare in ospedale per rendersi conto che iniziava ad agitarsi, così in urgenza fu sottoposto a un esame che confermò la presenza di una lesione cerebrale. Insomma, l'osservazione è l'unico metodo per salvaguardare la salute degli atleti.
Per fortuna i girini sono in buone mani. «Nonostante le cadute siano numerose, i traumi di questo tipo sono limitati. Forse anche perchè non tutti vengono intercettati, i dati statistici sono così scarsi che non possiamo affermarlo con certezza. Dare un giudizio in fretta non è semplice e anche essere troppo precoci non sempre paga. Prestare attenzione al problema come stanno facendo i medici che operano nel mondo del ciclismo permette di minimizzare i danni» conclude il dottor Tredici.