
Tutto in un giorno. Tutto in una corsa. Tutto in una vittoria. Tutta la vita a pedali di Pietro Chesi nella Milano-Sanremo del 1927. Domenica 3 aprile 1927: dal raduno di partenza fissato alle 4.30 in piazza del Duomo alla partenza data alle 6.02 lungo il Naviglio alla Conca Fallata, dallo scatto poco prima di Tortona quando al traguardo mancavano ancora 212 chilometri fino all’arrivo solitario su viale Cavallotti dopo 288 chilometri di corsa in 9 ore e 43 minuti a 29 e mezzo di media con 9 minuti di vantaggio sul secondo, non uno qualsiasi, perché era Alfredo Binda.
Pietro Chesi fu un lampo più che una cometa, fu una meteora più che una stella, fu un fenomeno più che un campione. Fu un corridore incompreso, sfortunato, trascurato. Lui stesso finì con il trascurare le proprie doti di resistenza, di testa e di gambe, di fiato e di volontà. Una decina di anni da professionista, a cavallo fra gli anni Venti e Trenta, quelli di Girardengo e Binda, Piemontesi e Brunero, alcuni da accasato, altri da indipendente e isolato. E quell’unica, straordinaria, luminosa, storica vittoria per distacco.
Oggi, 24 novembre, è l’anniversario della nascita di Chesi. Del 1902, 118 anni fa. Toscano di Gambassi, sfogava sui pedali la sua forza da boscaiolo, ma anche la sua fame da povero: si racconta dei suoi allenamenti zavorrando la bici con una cesta piena di pietre. Un secolo fa il ciclismo era pura avventura. Si narra che al Giro della Calabria, nel 1926, nella prima tappa Chesi si fece trovare da una delle macchine (forse la sola) dell’organizzazione “placidamente appostato su un prato lungo la strada: era sceso di bicicletta, aveva rimediato una bottiglia di vino e un po’ da mangiare” e “alle fatiche della corsa preferiva la soddisfazione brutale di uno dei suoi ricorrenti impulsi famelici”.
Finite le battaglie ciclistiche, Chesi cominciò quelle politiche. Aveva scelto il fascismo, e non lo aveva rinnegato. Quando la situazione cambiò, “il taurino socio della legione di Carpi” fu perseguitato. Catturato e processato, la prima volta si salvò grazie all’intervento di un appassionato di ciclismo, che non lo aveva dimenticato. La seconda volta gli fu fatale. Un colpo di fucile, al muro, dietro il Palazzo Vecchio di Firenze.
Mauro Parrini ha scritto “Pietro Chesi il ciclista in camicia nera” (Mursia, 168 pagine, 14 euro), l’unica biografia, del 2014. E oggi, alle 14, Wikiradio (Radiorai3) racconta la sua esistenza, dalla polvere della strada, corridore duro e tosto, alla polvere della strada, repubblichino vinto e ammazzato.