Vorrei tanto riservare tutto lo spazio e tutti i superlativi a un nuovo ecuadoriano che sulle strade di Cesenatico onora il Giro, vorrei celebrare come merita la serietà della stessa Ineos, squadrone spesso discusso per i suoi modi da riccastro esagerato, ma capace qui di incassare la batosta Thomas – capitano e favorito – e di ripartire umilmente all'attacco con tutti i suoi superstiti, dal fantastico Ganna nostro fino al piccolo Narvaez.
Vorrei, ma poi ci pensano la Rai e la sua padrona di casa Alessandra De Stefano a richiamare l'attenzione con il solito tema e la solita lettura storica, sempre da una parte sola, con una campana sola, per la serie Pantani ce l'hanno ucciso e il mondo è in mano ai mafiosi.
“Questo palco è sempre aperto per te”, dice la dama Rai alla signora Tonina, l'inconsolabile mamma dell'indimenticabile Marco. E più volte viene specificato che “non potevamo aprire questa puntata del Processo senza sentire la tua voce, Tonina, grazie di essere qui, Tonina”, già che ci siamo comunicando al mondo intero quanto sono umani su quel palco, “stamattina con Garzelli e Bennati siamo stati in visita al cimitero”.
L'argomento è delicatissimo, c'è di mezzo un ragazzo morto troppo presto, in un modo troppo insopportabile, ma non è neppure giusto tacere e starli a sentire come se niente fosse. Non può passare via come la normalità che una rete del servizio pubblico, tenuta in piedi dai contribuenti con tasse e canoni, spiattelli una verità di parte senza la minima possibilità di un contraddittorio qualunque, come vorrebbe la buona regola del giornalismo, ma anche solo di una correttezza basica ed elementare.
Tonina riparte con la sua versione, la versione della mamma che non accetta la morte del figlio per overdose, che ha bisogno di un bersaglio e di un colpevole, e tutto questo non è per niente scandaloso: da una madre così colpita negli affetti più intimi è il minimo che ci si possa aspettare. A sorprendere davvero, a rendere inaccettabile e inquietante la trasmissione, è chi la pensa e chi la conduce, imperturbabili nel dare voce ai sospetti più pesanti e più offensivi, contro il Giro d'Italia di allora, contro la Federazione di allora, contro la magistratura di allora e anche contro la successiva, perchè a tutti i livelli la giustizia ha sempre concluso nello stesso modo, sulla fine atroce di Marco Pantani.
Niente da fare: tutto a mare, tutto al macero. Vent'anni dopo sul palco Rai, sul palco del servizio pubblico, si dà voce soltanto alla tesi del complotto, dei poteri occulti, degli insabbiamenti e dei delitti mascherati.
Ora: finchè si scherza o si chiacchiera banalmente su uno sprint o su una foratura, il metodo può pure passare. Ma qui si parla di una questione enorme, di una morte che ha sconvolto il Paese: non può essere tollerabile che passi una sola voce, una sola versione, una sola verità, con tanto di Garzelli compagno di squadra a Campiglio subito pronto a fare nuovamente la sua parte di gregario, senza che nessuno si senta in dovere di ascoltare anche l'altra campana, senza il minimo confronto, la minima dissonanza.
Naturalmente per i complottisti e i vittimismi faciloni questo è un discorso imperdonabile. E' bestemmiare in chiesa. E' lesa maestà. Ma non importa. Non bisogna stancarsi di pretendere correttezza e lealtà. Il giorno che passa il metodo dei processi da bar sport, la civiltà è morta. Anche se magari la De Stefano fa il pieno di applausi a Cesenatico. Qui siamo al punto che la signora Tonina dice in televisione, televisione pubblica, una cosa inaudita come questa, “nel ciclismo i ragazzi sono le prede, se tu parli fai la fine di Marco”, senza che nessuno si senta in dovere di saltare sulla sedia, quanto meno di chiarire un po' meglio, o semplicemente di prendere le distanze.
Niente: qui la porta è sempre aperta, qui non potevamo iniziare questa trasmissione senza sentire la tua voce, questo palco è sempre a tua disposizione. E la conclusione è degna del livello: la signora Tonina annuncia che concluderà la giornata della verità andando “a mangiare con gli amici, alla faccia di chi ci vuol male”.
Per una trasmissione che da due settimane evoca ogni tre per due Sergio Zavoli, maestro di televisione e di giornalismo, è il colpo d'ala che nobilita l'intera giornata. Liberi tutti. Probabilmente liberi e soddisfatti. Ma stavolta è davvero il caso che un processo lo facciano al Processo. Se esiste ancora una coscienza.