E’ un lombardo della Bassa, la fascia a sud di Milano, piattissima pianura, nato a Casalpusterlengo, grosso centro in provincia di Milano, di recente protagonista nelle cronache con i primi casi di coronavirus, all’epoca della nascita del protagonista di questo ricordo di un più che mai attivo e proteiforme attore, in vari ruoli, del ciclismo e delle biciclette da sessant’anni, più o meno e quindi, nel 1992, passato alla nuova provincia di Lodi. E’ una zona di feconda produzione agricola, favorita dall’abbondanza d’acqua con adeguati impianti irrigui, allevamento e, in tempi più recenti, pure di diverse attività manifatturiere.
Parliamo di Domenico Garbelli, classe 1943, nativo appunto di Casalpusterlengo, il cui nome inizia ad apparire nelle cronache ciclistiche lombarde e poi nazionali fin dai primissimi anni 1960 quando, con la maglia del Pedale Casalese Sivam, attiva società locale soprattutto nel ciclocross, frequenta i prati nel periodo invernale senza disdegnare l’attività su strada dove però non eccelle, per sua stessa ammissione. E’ poi compagno di squadra di Enrico Sfolcini, Luigi Torresani e altri, presenze costanti nell’attività fra i prati di quel tempo, tutti con il marchio della “Bassa” lodigiana. Erano gli anni dove fra i prati nazionali dominava, da monarca assoluto, il grande Renato Longo, cinque maglie iridate accompagnate da dodici tricolori mentre, in visione internazionale, duellava con l’eclettico tedesco Rolf Wolfshohl. E allora, sovente, il ciclocross era trasmesso in diretta il pomeriggio del sabato o della domenica dalla Rai TV.
I migliori risultati nel ciclocross per Garbelli sono due medaglie di bronzo ai campionati italiani negli anni 1965 e 1966. E non è comunque poco comunque visto pure il campo dei praticanti di livello elevato del ciclopratismo dell’epoca.
Poi, in verità, accertata, obiettiva, posta in rilievo e pienamente accettata dallo stesso protagonista, il palmarès di Domenico Garbelli corridore è in pratica muto, intonso, inversamente proporzionale al suo accanito interesse, accompagnato da passione, del ciclismo e del mondo della bicicletta, intesa anche mezzo meccanico.
Negli anni ’70 è pienamente impegnato come direttore sportivo con il milanese Luciano Menecola, altro “nome” di pieno rilievo e persona schiva e riservata, titolare di un noto negozio di biciclette a Cinisello Balsamo, grosso comune al confine nord di Milano, nelle formazioni, al vertice della categoria dilettanti, create da un grande appassionato e mecenate del ciclismo, quale il cavaliere del lavoro Vittorio Ghezzi. Imprenditore di spessore impegnato con la famiglia, la moglie, la signora Berenice e i figli, nel lavoro come presidente delle industrie siderurgiche brianzole Itla e Iclas, due sigle industriali che rievocano fra gli appassionati del tempo importanti ricordi di valore ciclistico. E’ stato per molti anni presidente della Banca di Credito Cooperativo di Carate Brianza, in pratica l’organizzatrice dello storico Giro della Brianza a tappe e pure presidente nazionale di ICCREA, ente che raggruppava tutte le banche cooperative italiane, una generosa figura di rilievo anche per il ciclismo scomparso nel 2016 alla bella età di 91 anni. Un caso di scuola, come si suole dire, sia nell’attività imprenditoriale del cooperativismo, sia nel ciclismo, per l’afflato che lo univa a Domenico Garbelli e ai “suoi” corridori. Proviamo a ricordarne alcuni che hanno gareggiato con le insegne di Itla e Iclas in un periodo di un ciclismo ancora abbastanza rusticano con squadre ben strutturate, con patron, dirigenti e tecnici appassionati, ultra-motivati che la domenica, e pure durante la settimana, incrociavano i pedali con determinato furore agonistico e corollario vario di rivalità e rivendicazioni polemiche, anche roventi, mai andate però aldilà del reciproco rispetto.
L’elenco selezionato può riportare i nomi e le figure di Gian Battista Baronchelli con il fratello Gaetano e altri fratelli orobici come Pietro e Vittorio Algeri, poi Alessandro Paganessi, per continuare con Roberto Ceruti, Marino Fusar Poli, Serge Parsani, Gabriele Landoni, Gianfranco Foresti, Claudio Corti, Dino Porrini, Alberto Volpi, Valerio Piva, Fausto Stiz. Angelo Tosi – lodigiano come Garbelli - e molti altri ancora ricordando lo sfortunato e compianto Walter Polini. Vari fra questi sono approdati al professionismo nella G.B.C. Itla nel 1977 con Domenico Garbelli e Dino Zandegù – una sorta di strana coppia con differenti caratteristiche caratteriali e modi di proporsi – in ammiraglia.
Un passo indietro, al 1973, quando G.B. Baronchelli, in maglia Iclas, vince il Giro d’Italia baby e il Tour de l’Avenir. Il fornitore delle bici era Ernesto Colnago con il quale era, in essere, da qualche tempo, un discorso per approdare al professionismo con i migliori elementi delle due formazioni.
L’esplosione di G.B. Baronchelli determina però un subitaneo cambio di programmi con G.B. che firma per lo squadrone bianconero della Scic di Parma, già equipaggiata con cicli Colnago e conseguente “stop” del relativo progetto.
Domenico Garbelli, con il beneplacito di Ghezzi e Inzaghi, ex corridore e socio fondatore di Itla e Iclas, prospetta la soluzione di costruire in proprio le biciclette da corsa per la squadra. Nasce così il marchio “Rossin” che propone il cognome di un ottimo telaista d’origine veronese ma brianzolo d’adozione che aveva lavorato con profitto anche per Colnago. Nasce così l’azienda, in una moderna struttura, a Cavenago, a fianco del tratto autostradale da Milano a Bergamo, all’uscita di Cavenago-Cambiago.
Un marchio che si guadagna presto notorietà internazionale, anche nel professionismo, e che vede Domenico Garbelli in posizione di rilievo nella conduzione aziendale.
Si deve a Domenico Garbelli, unitamente al suo amico Antonio Colombo, il titolare dei notissimi marchi – sovente innovativi - Columbus e quindi di Cinelli, legati da costante amicizia con reciproca stima anche e nonostante le differenze caratteriali che magari li caratterizzano e li differenziano, la proposta del “Rampichino”, il progenitore italico delle mountain bike, realizzato in Italia, nei primi anni 1980. Era il 1983 quando, in novembre, all’allora grande rassegna EICMA milanese, il Salone del Ciclo e Motociclo, fu esposto il prototipo del Rampichino realizzato dopo una visita di Antonio Colombo e Domenico Garbelli negli Stati Uniti. E’ stato pure tra i fautori del casco integrale, dei collegamenti radio con le ammiraglie e ha fatto montare per primo sulla bici di Paganessi, un antesignano dei più moderni ciclo computer. Ha pure studiato e sperimentato delle specificità tecniche peculiari delle bici da cronometro utilizzate anche dal quartetto azzurro della 100 km. vincitore dell’oro alle Olimpiadi di Los Angeles 1984. Ricorda anche la costante applicazione ai sistemi d’allenamento di squadra e la cura posta nell’alimentazione dell’atleta, mutuati dagli insegnamenti di Elio Rimedio alla Scuola Centrale dello Sport di Roma quando, era il 1965, giusto ieri…, conseguì il primo diploma di direttore tecnico regionale. Poi con Roma, precisa testuale Garbelli, la lunga e vivace “guerra”, sportiva ovviamente, per sollecitare alla F.C.I. regolamenti che seguissero i tempi.
In seguito Domenico Garbelli, dopo che il marchio Rossin fu ceduto, è stato un importante “trader”, diciamo grossista, nel mercato internazionale del ciclo con espansione in varie nazioni.
Dopo la metà degli anni 1990 rileva e gestisce, anche in prima persona, il negozio Gran Ciclismo di Milano, fondato da Antonio Colombo alla fine degli anni 1980 nel centro di Milano, iniziativa anticipatrice di molte altre, anche a livello internazionale, d’elegante e coordinata, anche architettonicamente, proposta di boutique ciclistica d’alto livello, abbellita anche con arredamenti e temi artistici.
Non trascura però di seguire il ciclismo, nelle differenti espressioni e specialità, agonistico grazie anche alle informazioni condivise con un suo più giovane collega direttore sportivo, pure lui carattere deciso, fermo, diretto, il bergamasco Olivano Locatelli. Anche Garbelli vive a Bergamo da vari anni.
Quando lascia Gran Ciclismo, non pensa, neppure lontanamente, alla pensione come potrebbe essere comprensibile e tanti agognano. Si mette costantemente in gioco nella conduzione sportiva di varie squadre “continental” o dilettanti di rilievo e qui avverte l’esigenza, anzi la necessità stringente per uno come lui, d’affinare le sue conoscenze e capacità informatiche, in special modo per l’uso dei “social”, Facebook e Instagram soprattutto, e dove da qualche tempo si propone con continuità presentando, sempre interessanti e piacevoli motivi legati al suo vissuto. E, con la diretta franchezza che gli è propria, ne spiega il motivo: “Non mi garbava di essere fatto su” (lombardismo), rafforzata poi da un esplicito “essere preso per il c…” da qualche mio amministrato su dati e situazioni d’allenamento. Così controllo direttamente. Arrivo dall’università del marciapiede io….”. E ricorda pure una sua costante massima, consolatoria per gli scarso criniti: “I purosangue non hanno capelli, gli asini sì”. Non c’è comunque volontà denigratoria verso gli animali che ragliano.
Ora è il terzo direttore sportivo della promettente continental Team Casillo-Petroli Firenze-Hopplà con Ennio Piscina team manager e in ammiraglia Gianni Faresin e Matteo Provini. “D’altronde sono giovane, devo imparare” commenta divertito.
E questo è Domenico Garbelli, prendere o lasciare.
Se sei giá nostro utente esegui il login altrimenti registrati.