Questo doveva essere il principio della sua seconda vita, o almeno di un’altra carriera. Questa volta però non si è fermato Fabio Aru, si è fermato addirittura il mondo. «Sembra incredibile, ma è andata così. Però mi rifiuto di lamentarmi. Penso a chi sta perdendo molto più di questo, a chi ha perso le persone che ama, a chi ha perso la vita. Sono un po’ stanco di sentir dire che andrà tutto bene. Anche se dovesse risolversi domani, non è andata bene per niente. Ci vuole rispetto, c’è tanta gente che muore. Adesso dobbiamo pensare a loro».
Doveva essere la stagione della vita, con Ginevra che compie sei mesi a metà aprile e ha già riempito il mondo di Fabio e di Valentina, con un trasloco da finire in queste ore (c’è anche chi deve traslocare durante la quarantena, perché no), con un avvio di stagione calibrato per essere al massimo della forma al Tour e poi all’Olimpiade. Invece. «Se mi fosse capitata una cosa del genere qualche anno fa non so come avrei reagito. Diciamo che pativo i cambi di programma, non ero bravo a gestirli. Sono migliorato, allora forse ero troppo giovane». Adesso è un uomo che compirà trent’anni a luglio, un padre innamorato, «non so da chi abbia preso, è molto più solare ed espansiva di me e di sua madre, sorride tanto, se c’è una cosa buona in questo macello è che posso passare tanto tempo con lei, se fosse stata una stagione normale mia figlia l’avrei vista più che altro su Skype o su Facetime. Non è proprio la stessa cosa».
Trovare il lato positivo. Anche con un contratto in scadenza?
«Sarei un ipocrita a dire che non ci penso. Arrivo da due stagioni molto negative, e in questa non so se avrò modo di correre, di tornare quello che ero. Non è facile. D’altra parte confesso che non ne faccio un’ossessione, è qualcosa che non dipende da me, è inutile perderci la testa, cerco di vivere questo momento con serenità».
Alcune squadre hanno cominciato a tagliare gli stipendi, anche quelli dei corridori.
«Per ora è una cosa che non ci riguarda, anzi la UAE ci è stata molto vicina. Ma non vivo in un altro mondo: non mi stupirei se in assenza di corse gli sponsor pensassero a difendersi. Mi auguro che anche questo possa risolversi quando si tornerà alla normalità, me lo auguro per tutto il movimento».
Doveva correre il Tour, che in teoria è ancora al suo posto nel calendario.
«Non so come si possa correre. Il ciclismo è uno sport molto globale, nelle squadre c’è gente di tanti Paesi diversi. Ammesso che si riesca a organizzare una corsa, chi potrà spostarsi in sicurezza? Chi potrà andare in Francia?».
L’ipotesi porte chiuse le piace?
«Sarebbe il danno minore, immagino. Anche se il ciclismo senza pubblico non è ciclismo. Perde tutto il suo bello».
Come ci si allena senza un traguardo davanti?
«Quando sono tornato dalla Colombia non ero al 100 per 100 della forma, ma al 95 sì. Ora sarò al 70-75, e dovrò mantenermi così. Poi quando sapremo che si ricomincia, servirà almeno un mese di preavviso, un mese per allenarsi a fondo».
Oggi le giornate come sono?
«Da più di dieci giorni mi alleno sui rulli, anche se non mi piace, non riesco a fare più un’ora e mezzo al mattino e altrettanto il pomeriggio. Poi esercizi, addominali, squat. Mi arrangio, non ho nè palestra nè giardino. Diciamo che è come se fosse novembre».
Ma a novembre almeno si sa che a gennaio si corre.
«Questa è la grande differenza. Adesso non sappiamo niente».
La nostra vita è cambiata per sempre?
«Mi auguro di no. Si troverà una cura, un vaccino. Ricominceremo a viaggiare, a stringerci la mano, ad abbracciarci».
Cosa sogna la notte?
«Non me li ricordo i sogni. Mai».
Cosa legge?
«In questo periodo non riesco a leggere. La situazione è talmente strana che non riesco a concentrarmi. Allora mi do degli obiettivi, sto facendo progressi con lo spagnolo e con l’inglese».
La famiglia in Sardegna come sta?
«Non li vedo da Natale, sarei andato a maggio a fargli conoscere la bimba. So che ci sono molte persone in difficoltà, c’è gente che comincia a non sapere come fare la spesa. Anche il dopo non sarà facile, molte persone avranno bisogno di aiuto».
Bergamo è l’altra sua città.
«Chi poteva aspettarsi quello che sta succedendo... Sento i miei amici, la situazione è anche peggiore di quella che si vede al telegiornale. Una tragedia. Non è andato tutto bene, no».
da Il Corriere dello Sport del 31 marzo 2020