“Accogliamo con un applauso la “lanterne rouge!!” Sentiremo gridare così in Paradiso, il “paradiso dei ciclisti” sdoganato da Alfredo Martini. Anche Vittorio Seghezzi, ultimo al Tour de France di Bartali del 1948, e 33° nel Giro di Coppi 1949, ha tagliato il traguardo della vita. Era rimasto da solo, l’ultimo superstite di una nidiata di Campioni che avevano rianimato il ciclismo mondiale del dopoguerra. Era rimasto solo, ultranovantenne ma in splendida salute e soprattutto lucido di testa. Fino a pochi giorni fa zappava, tagliava le siepi, curava il giardino e piangeva senza posa la moglie Anna, sua “Miss per sempre”, che “era andata avanti” a fine maggio. Gli albi d’oro del ciclismo, invece, non piangeranno la sua scomparsa perché lasciò il segno solamente nel Gran Premio città di Rivarolo del Re, una corsa che, pur essendo araldicamente di grande prestigio, non regge il paragone con le Classiche.
Però da dilettante era stato un vincente in pista e anche finisseur per poi trasformarsi in età matura in uomo da fatica e da fughe pazze che svegliavano la corsa fin dai primi chilometri. Forse questa sua tattica scriteriata e suicida gli impedì maggiori glorie anche perché, saltuariamente, qualche germe di classe in lui si intravvedeva.
Ma era nelle corse a tappe che dava spettacolo: come quella volta al Tour che arrivò dopo aver pedalato per 80 (sic) chilometri con in mano la sella rotta. O quella volta che ruppe un pedale e, poiché l’ammiraglia di Binda era davanti con Bartali, dovette arrangiarsi con una gamba sola: “Enrico Toti della bicicletta”, e per fortuna i due incidenti di percorso non avvennero nello stesso momento…
E che dire del 17° posto nella indimenticabile Cuneo Pinerolo? Operaio di Romano Lombardo, classe 1924, 27 maggio precisamente, ha corso negli anni “40 e “50, non senza difficoltà a trovare un contratto, principalmente con Lygie, Bottecchia, Welter al servizio di Bevilacqua, Bobet, Brankart, Pasotti e altri leader di secondo piano. Un origami di piazzamenti da far invidia a chiunque. Famosa la sua affermazione: “Fausto non mi prese con se perche diceva che io non ero un gregario ma un campione” Una affermazione esagerata? Forse. Un “luogotenente”, diremmo oggi con una certa magnanimità. Ma a Vittorio si perdonava tutto anche quando intonava Granada due toni sotto. Adesso lancerà i suoi acuti in cielo davanti agli amici schierati per un applauso senza fine. Grazie per la tua amicizia!