Una borraccia. Chi di noi non ha avuto una borraccia. Non l’ha tenuta tra le mani. Non l’ha raccolta per strada o in un prato. Anche Giorgio Squinzi ne ha posseduta una, per lui la più preziosa di tutte, quella gettata in viale Jenner dal Campionissimo Fausto Coppi, il suo cavaliere alato.
Era il Lombardia del ’56, quello del gesto dell’ombrello della Dama Bianca a Fiorenzo Magni, il quale non la prese benissimo e rincorse Coppi e i suoi compagni di fuga contribuendo a far vivere al Campionissimo una delle sconfitte più amare della sua immensa carriera. Quella borraccia simbolo di solidarietà, vita e passaggio di consegne è stata per Giorgio Squinzi punto di riferimento, stella cometa e polare, sogno innocente di un bambino diventato uomo, che non solo ha pedalato con forza e tenacia, ma è sempre rimasto in equilibrio nel mondo, senza mai smarrire la strada.
Una borraccia. Un oggetto semplice quanto prezioso, necessario e insostituibile, che come mi raccontò e raccontò a chi ha avuto la fortuna d’incontrarlo sulla propria strada, perse in un trasloco. Una borraccia di alluminio, con quel tappo di sughero legato ad un cordino. Qualche anno fa i ragazzi de “Le Vele” (onlus che da anni si occupa dell’affido di minori abbandonati), i ragazzi del dottor Squinzi e della dottoressa Adriana Spazzoli (quanti ne hanno sparsi nel mondo, quanto il bene…), hanno donato al presidente una Bianchi del 1949 con tanto di cambio Simplex. La bicicletta della prima doppietta del Campionissimo, quello della borraccia a Bartali e al piccolo Squinzi.
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