Il ciclismo femminile cresce e si organizza. Il salto di qualità tecnico è evidente, quello culturale un po’ meno. Detto questo, il ciclismo femminile non è un pianeta buio e lontano, ma vicinissimo a noi e splendente. Negli ultimi anni c’è stata una vera e propria accelerazione e, a livello mondiale, sono sorti team di livello, che stanno investendo sempre di più e bene nell’Universo donna. «È chiaro che non è mai piacevole leggere certe cose, e per quanto ci riguarda seguiamo con particolare attenzione l’evolversi di quanto pubblicato in questi giorni da Il Giornale – ci spiega l’avvocato Michele Re di Hero Sport, società di management che tra le proprie assistite ha la talentuosa Letizia Paternoster e altre numerose atlete di livello internazionale -. Una delle priorità della nostra società è verificare fin da subito che le nostre atlete siano tutelate non soltanto dal punto di vista tecnico-sportivo, ma anche personale e dunque possano svolgere la loro attività in contesti di sicuro livello professionale come nel caso della Trek Segafredo, che in materia è una vera garanzia».
E mentre il Coni, dopo la presa di posizione del numero uno dello sport italiano Giovanni Malagò, è pronto a raccogliere testimonianze per fare chiarezza su tutta questa vicenda, Alessandra Cappellotto, vicentina, prima azzurra a vincere il Mondiale nel 1997, Vicepresidente Accpi (l’associazione corridori italiana guidata da Cristian Salvato, ndr), nonché coordinatrice del settore rosa al fianco di Gianni Bugno (il presidente del Cpa) dice la sua.
I casi di molestie, abusi o violenza psicologica sulle ragazze, che hanno portato alla nascita del movimento #MeToo cycling, li conosce molto bene. «Conosco l’inchiesta belga sul team Health Mate e le denunce che sono state fatte dalle quattro ragazze, ma devo anche dire che il movimento femminile non è solo questo – spiega la vicentina -. È chiaro che dobbiamo tutti avere grande attenzione, ma la cosa che più mi piace è che a livello internazionale, grazie all’Uci, il movimento maschile di World Tour si sia attrezzato in maniera molto professionale con formazioni di assoluto livello coniugate al femminile, esattamente come sta avvenendo da qualche anno anche da noi nel calcio».
La Cappellotto non ha problemi a parlare, del resto non ne ha mai avuti, e anche in questa occasione sull’argomento rilancia aprendo un nuovo fronte. «I problemi più grossi che ho dovuto affrontare in questi anni è stata l’ossessiva ricerca del peso, soprattutto sulle più giovani. Se tu apostrofi una ragazzina sei grassa da far schifo, non è come dirlo ad un maschio che generalmente se ne frega o ti manda a quel paese. Non voglio apparire per quella che colpisce altrove per distogliere l’attenzione da un altro problema, ma lo ripeto: a quanto mi risulta problemi in azzurro non ci sono, anche se secondo me con la categoria juniores (ragazze di 17/18 anni) si esagera. Chi vince è anoressica, e questa categoria è veramente esasperata. Anche Dino Salvoldi, il CT azzurro delle ragazze, sa bene come la penso in materia: le ragazzine non possono essere trattate come delle donne fatte e finite. Gli ormoni femminili sono collegati alla presenza di grasso corporeo e se la percentuale scende troppo diventa pericoloso. Si rischia l’amenorrea, con tutti i rischi che questo comporta. Per questo mi sto battendo per l’abolizione dei campionati europei e mondiali per ragazzine così giovani. Perderemo delle medaglie? Amen. Potrei cantarle una canzoncina: siamo donne, oltre alle medaglie c’è di più…».
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