Viaggiava in bicicletta Luigi Vittorio Bertarelli, che avrebbe fondato il Touring club ciclistico italiano. Nel 1897 esplorò Basilicata e Calabria, nel 1898 la Sicilia. Portava con sé, fra gli attrezzi, anche una pistola.
Viaggiava in bicicletta Enrico Toti, che avrebbe combattuto la Prima guerra mondiale come bersagliere ciclista. Pedalando con una sola gamba, nel 1911 esplorò il Nord (Francia, Paesi Bassi, Scandinavia, Russia e Polonia), nel 1912 si spinse in Africa (Egitto e Sudan). Sulla bici – uno scheletro nero – riusciva a fissare la stampella.
Viaggiava in bicicletta Giovannino Guareschi, che avrebbe diviso l’Italia fra Don Camillo e Peppone. Durante la Seconda guerra mondiale girò la Bassa, costeggiò il Po, si affacciò sui grandi laghi, si arrampicò sulle Dolomiti, si misurò con lo Stelvio. Un po’ per gioco un po’ per dimagrire, spiegava con una leggerezza di pensiero che non avrebbe mai raggiunto a pedali.
Si viaggia in bicicletta per amore e buonumore, per passione e addirittura professione, per storia e geografia, per missione e ribellione, per protesta e solidarietà, per fuggire e inseguire, per capirsi, per darsi un traguardo, una meta, un limite e poi cercare di raggiungerlo se non superarlo. Si viaggia in bicicletta perché è il modo più veloce fra quelli lenti, o forse il più lento fra quelli veloci, perché è comunque un modo silenzioso, economico, avventuroso il giusto, e anche perché è un modo sorridente, disarmato, libero, allo stesso tempo solitario e di compagnia, di comitiva, di gruppo. Così si va ad Auschwitz – per non dimenticare - in bicicletta, si va a Santiago di Compostela – per non perdersi – in bicicletta, si va a Capo Nord – per sfinirsi – in bicicletta.
C’è un viavai, un andirivieni, un gran viaggiare di biciclette per il mondo, cariche di ex atleti ed ex sedentari (ex anche quando pedalano seduti sulla sella), di autostime e autosfide, a volte purtroppo anche di autoscontri, cariche anche di voglie e fantasie, di orizzonti verticali e vertici orizzontali, di parole da trovare e note da sentire, e poi di sensazioni ed emozioni, urgenti, da raccontare.
Come se la vera vita sia quella sulla strada, fatta di salite dolorose e di discese troppo frettolose, di gambe dure e fiato corto, di borracce calde e gomme sgonfie. Se in gergo “mettere i piedi a terra” allude a un incidente meccanico o a un accidente fisico, significa che quando si va in bicicletta, magari anche a venti all’ora, si vola. Se in gergo “non sentire la catena” vuole dire pedalare senza fare fatica, è come se nella vita di tutti i giorni, quella a piedi, quella a terra, ci si sente imprigionati, detenuti, agli arresti domiciliari. Ed è così che il viaggio in bicicletta diventa evasione, liberazione, libertà.
Lorenzo Gambetta è un pronipote di Bertarelli, Toti e Guareschi, ha viaggiato in bicicletta da Zagabria a Sarajevo e da Zagabria a Belgrado, poi ha trasformato le pedivelle in tasti, le pedalate in parole, i chilometri in pagine. “Jugo-bike”, in bicicletta in Bosnia, Croazia e Serbia (Infinito edizioni, 112 pagine, 13 euro, introduzione di Simone Benazzo, mia – questa – la prefazione). La prima presentazione giovedì 28 marzo, alle 21, nel centro culturale comunale di Pizzighettone, via Garibaldi 18.
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