Un anno fa veniva investito da un camion. Era in Sudafrica ad allenarsi con i compagni Bob Jungels e Laurens De Plus e un terribile incidente ha rischiato di compromettergli la carriera, o peggio, la vita. Nell'impatto fu quello più duramente colpito: riportò commozione cerebrale, un tendine lacerato e sei vertebre rotte, che hanno richiesto tre operazioni e mesi di riabilitazione. 365 giorni dopo Petr Vakoc è in Argentina dove tra poche ore tornerà a correre. Domenica sulla maglia della Deceuninck – Quick-Step il 26enne ceco riattaccherà il numero alla schiena.
Quanto sei felice da 1 a 10?
«11. Sono fortunato ad essere vivo e felicissimo di tornare a correre alla Vuelta a San Juan, ancora prima di quanto preventivato. Non ho ricordi di un anno fa, non soffro di incubi, ma sono decisamente più consapevole di quanto rischiamo ogni giorno in strada e arrabbiato con gli automobilisti che guidano in modo spericolato o imprudente».
Pedalare è oramai rischiosissimo.
«Sicuramente non è possibile prevenire tutti gli incidenti, ma sono convinto che i rischi di possano ridurre. C’è un’ostilità inutile tra guidatori e ciclisti: le persone al volante spesso non si rendono conto di quanto sia pericoloso sorpassarci a pochi centimetri. Per me questo è stato un argomento di grande interesse negli ultimi mesi: vorrei cambiare la situazione in meglio. La regola di superare il ciclista con una distanza minima di un metro e mezzo, come accade già in alcuni paesi, andrebbe imposta in tutto il mondo. Noi dal canto nostro dobbiamo fare di tutto per renderci visibili, con luici e abbigliamento colorato, e per sensibilizzare l'opinione pubblica. Più persone pedaleranno, più le strade saranno sicure».
Quando sei tornato in sella?
«Il mio primo vero allenamento risale a luglio quando sono stato con la squadra a Livigno, all'epoca non riuscivo a svolgere più di due-tre sessioni a settimana. In sella a pieno regime ci sono tornato solo tra settembre e ottobre. Settimana dopo settimana mi sono sempre sentito meglio e ora sono pronto a rientrare in gruppo. So che mi aspetta tanta fatica, ci vorrà almeno qualche mese prima che io possa tornare competitivo ad alti livelli ma ho imparato ad essere paziente e a pensare positivo».
Cosa ti auguri?
«Di tornare presto l'atleta che ero prima dell'incidente o anche una versione migliore di allora. Voglio aiutare la squadra e riprovare l'emozione di lottare per la vittoria. Lo devo a chi mi è stato vicino in questo anno difficile, a partire dalla mia famiglia. Devo ringraziare i dottori, quelli in Africa che mi hanno salvato la vita e quelli dell'istituto di Praga che mi hanno permesso di recuperare la piena mobilità, e la squadra che mi ha sostenuto come meglio non avrebbe potuto».
Che messaggio ti senti di mandare a chi in questo momento lotta in ospedale come hai dovuto fare tu?
«Non concentratevi su quello che è accaduto, ma focalizzate tutte le vostre energie su quello che potete fare per reagire. Una piccola pedalata dopo l'altra raggiungerete il vostro traguardo».
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