Gino Bartali sarebbe stato spietato: “Troppo bello per fare il corridore”. L’uomo di ferro li avrebbe voluti, se possibile, brutti e vecchi. Invece Roberto Mancini, c.t. della Nazionale italiana di calcio, è bello ed eternamente (ha 54 anni) giovane, l’ideale per giocare a burraco, tirare al piattello o sfidare il sudoku, non per saltare sui pedali o spingere padelloni.
Sabato sera Mancini era ospite della Fondazione Michele Scarponi nel cinema-teatro Torquis di Filottrano in un testa a testa con Davide Cassani, voluto da Marco Scarponi, amministrato da Marino Bartoletti e accompagnato da un concerto e due video. Un’ora e mezzo di salotto sul palcoscenico, infine celebrato dallo scambio delle maglie: Cassani a Mancini quella degli Azzurri del ciclismo, Mancini a Cassani quella degli Azzurri del calcio, con tanto di numero 10.
Mancini ha confessato la passione ciclistica (“E’ innata: o c’è o non c’è. E in me c’era”), l’eredità paterna (“Mio padre aveva la passione per il ciclismo e il calcio, mia madre no e si arrabbiava”), il giorno del pronti-via (“Gita a Bologna, la mamma dal dentista, mio padre a Casteldebole per accompagnarmi a un provino con il Bologna”), il rispetto per il ciclismo (“Con il pallone ci vogliono i piedi, con la bicicletta le gambe”), il primo idolo (“Gimondi, poi Moser, poi Pantani, ma il mio eroe locale era Giancarlo Polidori, maglia rosa, maglia gialla, maglia azzurra e maglia tricolore, anche se quella dei dilettanti”), la simpatia per Cassani (“Lo seguivo già quando correva, l’ho conosciuto da quando è c.t.”). I due si sono trovati d’accordo sul lavoro (Mancini: “Tutti e due siamo costretti a vincere. Fra noi non ci sono grandi differenze, se non nella pressione. Io devo fronteggiare quella di 60 milioni di commissari tecnici, lui un po’ meno”, non sullo stipendio (Cassani: “Lì invece ci sono grandi differenze”). In comune l’amore per l’azzurro (Mancini: “E’ orgoglio. Fa battere più forte il cuore. E lo capisci soprattutto quando sei all’estero”).
I due c.t. si sono promessi di invitarsi, Mancini sull’ammiraglia di Cassani, Cassani non sulla panchina, ma almeno nel centro tecnico di Coverciano. Magari, prima o poi, anche in bici. Mancini: “Come sostiene Cassani, sono un corridore completo: vado piano dappertutto. Però, piano piano, miglioro. Di solito vado in giro con un paio di amici molto robusti, mi metto dietro di loro e sfrutto la scia”. Gli inizi non sono stati facili: “La prima volta sono partito in salita, a metà ne sono sceso e ho buttato via la bici. La seconda volta sono partito in pianura e ho resistito. Adesso arrivo a fare anche una settantina di chilometri tutti in una volta sola”. Casa a Jesi, gli è capitato di incontrare l’Aquila di Filottrano: “Giusto il tempo di salutarsi e chiacchierare di Inter, calcio, queste cose qua, poi lui mi mollava perché alla mia andatura gli sembrava di stare fermo, e invece doveva allenarsi. Una volta ci siamo incontrati anche per una partita di calcio a Jesi, un’altra volta mi ha regalato un paio di scarpe da ciclismo”.
Forse perché giocava in trasferta, davanti a un popolo di ciclisti, Mancini è stato generoso: “Il ciclismo è lo sport della fatica, della sofferenza, della tenacia. Bellissimo e durissimo. Ammiro tutti i corridori, dal primo all’ultimo. Come fanno, mi chiedo sempre, a stare sulla sella tutte quelle ore e tutti quei giorni? La risposta è allenamento. Ed è sempre utile scambiarsi informazioni e dati: uno come Nibali potrebbe insegnare molto ai miei giocatori”. Qualche similitudine esiste: “I capitani, per esempio. Si nasce capitani, e per esserlo non è indispensabile indossare la fascia al braccio. Il capitano è quello che tira il gruppo, che unisce la squadra. Nella Sampdoria che vinse lo scudetto, uno dei capitani era Toninho Cerezo: aveva il dono della serietà e, allo stesso tempo, della leggerezza. Proprio come Scarponi”.
Il problema del ciclismo, anche di quello di Mancini, è la sicurezza: “E’ assurdo, nel 2019, uscire in bici e rischiare di non tornare a casa. Bisognerebbe fare qualcosa di clamoroso. In Inghilterra, ai tempi del Manchester City, abitavo a 35 chilometri dal campo, e ci andavo in bici: le macchine mi superavano solo quando la strada era libera, spostandosi completamente nell’altra corsia. Non solo. La polizia stradale inglese obbliga i ciclisti a pedalare affiancati per rendere gli automobilisti più consapevoli della loro presenza e obbligarli a usare maggiore prudenza. E’ indispensabile intervenire con urgenza e decisione: più piste ciclabili, più educazione, più istruzione, e buoni esempi”.
E dal 2019, Mancini che cosa si aspetta? Dal calcio: “Abbiamo 10 partite per le qualificazioni degli Europei. Bisogna consolidare la squadra, accedere alla fase finale e vincere”. E dal ciclismo: “Non parlatemene. Il 18 maggio il Giro d’Italia 2019 passerà per Jesi. Ma proprio quel giorno cominceremo la preparazione per il match contro la Finlandia. Non so darmi pace”.
Se sei giá nostro utente esegui il login altrimenti registrati.