Ha fatto il giro dei social, e tuttobiciweb è stata tra i primi, ieri all’alba, a distribuirla e moltiplicarla. E il suo effetto è stato dirompente: ha unito immediatamente le generazioni, ha cancellato temporaneamente le divisioni, ha elevato finalmente i sentimenti. Perché non capita sempre, e neppure raramente, che un capitano si carichi di borracce per dissetare i suoi gregari: come se un ministro degli Interni remasse per salvare un naufrago. Qualche volta è successo: il Papa Francesco che ha invitato al pranzo di Natale i senzatetto, Richie McCaw – il capitano degli All Blacks, il massimo del rugby – che in una partita in cui non giocava, con la casacca del “water boy” dava da bere ai compagni di squadra. Vincenzo Nibali “aquador” alla Vuelta: esempio, simbolo, già mito, ha dimostrato che si può vincere anche senza arrivare primi.
In più, l’acqua. L’acqua come bene, patrimonio, giacimento. L’acqua come eredità, tesoro, ricchezza. L’acqua come necessità, bisogno, urgenza. L’acqua come diritto e dovere. Anche nel ciclismo, sport di assetati, disidratati, prosciugati. La stessa acqua della borraccia di Coppi e Bartali, quando il grande gesto, paradossalmente, non fu di chi la regalò, ma di chi la accettò, tanto era forte l’orgoglio dei due uomini. La stessa acqua dei lavatoi, dove i corridori si tuffavano, e delle fontane, dove i corridori sgomitavano, e dei bar, dove i corridori si precipitavano svuotando i frigoriferi, spazzando gli scaffali, ripulendo le cantine, scambiando – successe a Vittorio Adorni, che da gregario valeva poco – passate di pomodoro per bibite analcoliche.
L’acqua che è acca-due-o (due atomi di idrogeno e uno di ossigeno: la scoperta si deve a Antoine-Laurent de Lavoisier, francese, e a Cavendish, che non è il velocista inglese Mark, ma il chimico e fisico scozzese Henry), che è benedetta come l’acquasanta e solvente come l’acquaragia, che è miracolosa come l’acqua che si trasforma in vino e truffaldina come il vino che si diluisce con acqua, che è pura come andare a pane e acqua, che era una squadra come l’Acqua & Sapone ed è una squadra come l’Aqua Blue, che è strada e pista come Toni Bevilacqua (e tutti i Bevilacqua della storia a pedali) e che è mountain bike come Dario Acquaroli, che quando va bene è acqua di rose o di colonia, ma quando va male è in bocca o a catinelle, si fa un buco nell’acqua o si fa acqua da tutte le parti. E in fondo Malabrocca – il Luisìn, il Cinese, la Maglia Nera – aveva rivoluzionato anche il proprio cognome: apparentemente pericoloso, dannoso, negativo, sostanzialmente generoso, geniale, eterno.
Nibali sta all’acqua come il Piccolo Principe (non Damiano Cunego, ma Antoine de Saint-Exupery) all’aria, più fortunato di quanto Prometeo stesse al fuoco e più democratico di quanto Eolo lo fosse ai venti, forse discepolo di quel Noè (non Andrea, ma il patriarca) che navigò – unico - nel diluvio universale. Nibali è una risorsa idrica, ma anche culturale. Nibali è liquido, trasparente, minerale, forse addirittura fossile, duro anzi durissimo, eppure fresco e dolce, e mai come stavolta perfino medicamentoso.