di Cristiano Gatti -
Caro presidente Lappartient, inteso come capo Uci, mando a lei un post scriptum del Giro perché non può passarla liscia. Lei è passato di qui, probabilmente per puro dovere d’ufficio, dicendo le solite cose molto cortesi, alla francese, olàlà, ma quant’è bello e organizzato e prestigioso questo Giro…
Lasci stare, si risparmi tanta carineria, veda almeno di non prenderci in Giro. Più dei complimenti tanto per dire, tanto perché non si può dire il contrario, a noi interessano le parole che lei ha detto seriamente, credendoci fino in fondo, proprio convinto: Giro e Vuelta devono essere di due settimane, solo il Tour deve restare così lungo.
Per quanto mi riguarda, all’elezione ho pensato buone cose di lei. Mi sembrava il tipo adeguato per affrontare con prudenza ed equilibrio il salto nel nuovo. Ma tutta la mia speranza si è sciolta come gelato in spiaggia, a ferragosto, quando lei è partito con questa proposta. Lo so, da molte parti e in molte teste frulla questa idea della corsa a tappe più breve per essere più divertente (non ci credo proprio che pensiate alla salute dei corridori, di quella non vi è mai importato un fico).
Già in altre occasioni ho manifestato tutto il mio disgusto personale per questa evoluzione futurista del ciclismo. Ma è proprio il Giro che abbiamo appena visto che mi spinge a mandarle una nuova nota, a rafforzare la ribellione. Le chiedo: l’ha vista, questa terza settimana che nel suo immaginario non doveva esistere? E cosa ne dice? Stia tranquillo: non starò a fare l’operazione meccanica di dire che con la fine a Sappada avrebbe vinto Yates da dominatore, con Froome ben lontano, con Dumoulin sempre secondo perché quest’anno sta scritto che debba comunque prenderle da qualcuno. Non la faccio così semplice perché non sono così imbecille da ignorare che in un Giro di due settimane anche i percorsi e le tattiche cambierebbero.
Ma resto sulla sostanza: a portare in superficie, sopra la massa dei buoni corridori, i veri campioni, è sempre la grande fatica, la lunga fatica, tra tormento e calvario, tra resistenza e pena, tra personalità e tenacia. C’è chi dopo due settimane crolla perché il suo fisico è limitato. C’è chi crolla perché è limitata la sua tenuta psicologica. Sono pochi quelli che vengono fuori alla distanza, quando fatica fisica e mentale spingono all’estremo. Sono i migliori. Sono gli speciali. Sono gli unici.
Mi dirà: è appunto per questo che penso a Giro e Vuelta più magri e più agili, così si allarga lo spettro dei possibili vincitori. Sa che le rispondo? A noi appassionati veri, non interessati da logiche politiche e commerciali, lo spettacolo piace se è roba seria, se è duello tra giganti, se è impresa si massimi livelli. Per gli assaggini e gli aperitivi ci sono già occasioni magnifiche, dalla Tirreno-Adriatico al Delfinato alla Parigi-Nizza. Ma è quando il gioco si fa duro che i duri cominciano a menare. E questo, come avrà notato a Bardonecchia, avviene soltanto quando i serbatoi cominciano a vuotarsi, i chilometraggi a dilatarsi, le ore in sella a pesare come torture.
E’ lì che saltano fuori le vere differenze, tra un buon corridore e un signor corridore. All’inizio sono tutti fenomeni, nella terza settimana vanno giù come mosche. Non l’ha mai notato, in un secolo di corse? O è debole in storia?
Comunque io mi fermo qui. Non ho la minima intenzione di convincerla. Non ci tengo proprio. Mi tengo le mie idee e le auguro buona fortuna. Non troppa. Spero cioè che la sua gestione non duri abbastanza a lungo per perpetrare un simile crimine. Soltanto una cosa mi dovrebbe chiarire, prima dei saluti: mi spieghi, perché il Tour dovrebbe restare di tre settimane? Può giurarmi che è solo una coincidenza la sua nazionalità francese?