
Un paio di brevi tratti nuovi, poche centinaia di metri di pavé in meno rispetto alla scorsa edizione, ma il risultato non cambia: la Parigi-Roubaix resta una prova di forza e resistenza, dove la sfida è prima di tutto con se stessi. Nello sport moderno, fatto di materiali evoluti e metodologie rigorose, è ancora un solido baluardo di ciclismo antico: non per nulla, dall’alto delle sue 121 edizioni, è considerata la Regina delle classiche. Classico il percorso da Compiegne al velodromo della città del carbone, 259 chilometri, 55 dei quali di pietre dure, distribuiti in trenta settori. Il ballo comincia dopo un centinaio di chilometri, ma a segnare il destino sono i punti iconici: la foresta di Arenberg, setaccio di energie e di speranze, dove si entrerà dopo quattro curve secche per ridurre la velocità, Mons en Pevele e Carrefour de l’Arbre, dove si sceglierà chi è degno del successo. Quattordici le vittorie italiane, l’ultima nel 2021 nell’unica edizione autunnale post covid con Colbrelli, fin qui la sola nel terzo millennio. Ecco le dieci facce che possono sollevare la pietra assegnata come trofeo al vincitore.
Mathieu Van der Poel. Vince perché anche questa classica è il suo giardino di casa, perché ha vinto le ultime due edizioni dopo un terzo e un nono posto, perché sulle pietre una volta gli può andar male ma due no. Non vince perché non si è ripreso bene da una leggera influenza.
Tadej Pogacar. Vince perché è l’unico al mondo che riesce a farlo su qualsiasi terreno, perché quando si mette in testa un obiettivo lo centra sempre, perché le sfide che sembrano impossibili sono quelle che lo motivano di più. Non vince perché da debuttante non gli basta soltanto la fortuna.
Filippo Ganna. Vince perché è la grande classica più adatta a lui, perché l’ha già vinta da under 23, perché ha stazza e forma per restare al passo dei più forti. Non vince perché sul pavé bisogna esser bravi a guidare e in caso di arrivo in volata rischia di trovare chi è più veloce.
Wout Van Aert. Vince perché è un altro che sulle pietre ha una marcia in più, perché nelle ultime due edizioni disputate ha chiuso sul podio, perché aver corso un Fiandre da primattore gli ha restituito anche morale. Non vince perché rispetto agli altri fenomeni gli manca ancora qualcosa.
Mads Pedersen. Vince perché è in un momento di forma pazzesca, perché ha tutto per conquistare una classica monumentale, perché può contare su partner di lusso come Stuyven e Milan. Non vince perché anche quando fa tutto bene trova sempre qualcuno che fa meglio di lui.
Jasper Philipsen. Vince perché con le pietre francesi ha confidenza, perché non si considera un semplice velocista ma uomo da classiche, perché nelle ultime due partecipazioni ha chiuso al secondo posto. Non vince perché ha corso poco e quando l’ha fatto non ha brillato.
Stefan Kung. Vince perché nelle corse al Nord fin qui è stato sempre davanti, perché in questa classica è tra i più esperti, perché nelle ultime tre partecipazioni ha chiuso regolarmente nei cinque con un podio. Non vince perché correre da protagonista non basta per arrivare al successo.
Biniam Girmay. Vince perché ha le caratteristiche giuste per questa corsa, perché è uno degli obiettivi che si è posto in carriera, perché in caso di arrivo in gruppetto è tra i più veloci. Non vince perché è al debutto e la mancanza di esperienza sul pavé è una difficoltà in più.
Oliver Naesen. Vince perché ha le qualità per esser protagonista, perché le nove edizioni disputate le ha concluse tutte, perché è di quelli che sul pavé si fanno sempre trovar pronti. Non vince perché l’influenza che gli ha fatto saltare il Fiandre potrebbe avergli tolto qualcosa.
Tim Merlier. Vince perché è il più vincente in stagione, perché oltre ad essere velocista è anche un uomo di fondo, perché con il compagno Lampaert è la carta migliore della Soudal. Non vince perché i favoriti terranno il ritmo alto anche per lasciare per strada quelli come lui.