
Bruno Pizzul – una voce, un corpo – ci ha accompagnato per una vita. Così in questi giorni riecheggiano le sue parole, i suoi commenti, le sue espressioni. Il rigore di Baggio, la punizione di Branco, la notte dell’Heysel, la classe di Rivera, ma anche la Coppa Bernocchi. E spulciando un po’ fra le carte e un po’ nel cuore, è riemerso questo racconto. Ero andato a trovarlo per intervistarlo per la rivista BC, ci siamo sistemati nel bar sotto la sua casa di Milano in via Losanna, bici al muro e caffè sul tavolino, lui anche sigaretta fuori dalla giurisdizione della moglie, la Tigre, che poneva vincoli e salvaguardava polmoni.
Domandai a Bruno quante biciclette avesse avuto e lui mi rispose: «Un’enciclopedia. Quelle di nobile caratura, alcune regalate, sono le più pericolose: perché le rubano. Bianchi, Pinarello, Colnago... Marino Basso, campione del mondo professionisti su strada nel 1972 e poi manager di una squadra, me ne promise una da corsa, cui chiesi di mettere però un manubrio da passeggio. Finalmente mi venne consegnata una bici, ma senza scritte. Un giorno, a Milano, a un semaforo di corso Sempione, un automobilista suonò il clacson per salutarmi. Mi fermai: era Dino Zandegù, storico avversario di Basso nelle volate. Ci salutammo e colsi l’occasione per dirgli: ‘Parli sempre male di Basso, e invece guarda che regalo mi ha fatto’. Zandegù scese dall’auto, osservò la bicicletta, poi sentenziò: ‘Questa bici è mia’. E mi spiegò che era in ritiro con la sua squadra, la Malvor-Bottecchia, sul Lago di Garda, quando una notte gli rubarono tutte le bici. E, secondo lui, era una di quelle, ridipinta e modificata».
Zandegù, pur di non darla vinta a Basso. Zandegù, una storia di quelle sue, sorprendenti, esilaranti, vere al 90 percento.
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