Il più eroico è un piacentino di Ponte dell’Olio, ha 43 anni, un fisico da rugbista (186 cm per 108 kg) e una barba francescana. L’unico, nel 2024, ad aver concluso tutti i lunghi del circuito delle Eroiche.
Matteo Zazzera non rivendica alcun eroismo atletico o agonistico, semmai il giusto eroismo spirituale: “Condividendo la filosofia non competitiva, onorando tutti i ristori, godendo nel profondo dell’anima”. La prima Eroica? “A Montalcino”. La più spettacolare? “Quella delle Dolomiti”. La più lontana? “In Giappone”. La più emozionante? “A Cuba, nei suoi contrasti”. La più paesaggistica? “In Sudafrica”. La più elegante? “Sulle colline del Prosecco”. La più precisa? “In Svizzera”. La più chilometrica? “La Nova Eroica a Buonconvento: non il lungo, 140 km, ma il superlungo, 305!”. La più commovente? “Quella in Limburgo, salendo sul Grammont, il muro simbolo del Fiandre”. La più calda? “In Germania”. La più familiare e sentimentale? “Quella di Gaiole in Chianti”.
Zazzera, diploma di perito meccanico, si è innamorato della bici a 11 anni, “quando grazie ai soldi guadagnati facendo lavoretti in montagna mi comprai una Bianchi Meta”. Poi si è diviso, “o forse raddoppiato”, fra strada e mountain bike, finché in un campionato italiano Under 23 è rimasto coinvolto in un incidente, “con tanto di coma”, dopodiché “fine dell’agonismo, ma non del ciclismo”. Da appassionato, da amatore, da dirigente, da imprenditore, dalla squadra corse Iride Fixed Modena (circuiti e scatto fisso) alle consulenze per aziende del settore, dalle conferenze fino alla formazione nella Bike Academy (a Milano e Cremona, dal 2025 anche a Reggio Emilia). E dallo scorso luglio si occupa anche degli eventi esteri dell’Eroica.
“L’idea del grande slam eroico mi è venuta davanti alla bilancia – racconta Zazzera -. Segnava 123 kg. Avevo esagerato. E in salita non andavo su neanche più a spinta. Anzi, non ci riuscivo neanche facendomi spingere da due gregari. Così ho ricominciato a uscire e partecipare. Poi ci ho preso gusto e ho continuato. Un privilegio, una fortuna, un modo di essere e di stare al mondo, un modo di comunicare con gli altri, con tutti”. Sognando non Pogacar o Van der Poel, ma Venturelli: “Meo, lui sì, eroico. Istintivo, imprevedibile, irresistibile. Un vincente che perdeva, un perdente che vinceva, non si è mai capito bene. Che rimpianto non averlo conosciuto di persona”.
La passione per le bici ha trasformato Zazzera in collezionista (“Ne ho 77, ma di utilizzabili ‘solo’ una cinquantina”) e in teorico (“Oggi si vive una polarizzazione fra bici e ciclismo: bici significa stare con gli altri, ciclismo misurarsi con se stessi”), magari un giorno anche in mago (“Se avessi la bacchetta magica vorrei che tutti, a tutti i livelli, dall’asilo all’università, venissero educati ai valori e alle regole della bicicletta; che il ciclismo diventasse uno sport come gli altri, non solo festa, ma anche spettacolo, con la possibilità di incassi e introiti; e che ci fosse una nuova ondata di vocazioni fra i più giovani”).
Che cosa farà da grande, Zazzera? “Ho bisogno ancora di un po’ di tempo per deciderlo, o forse anche per saperlo, intanto confondo un po’ le acque facendo di tutto”. Insomma: va per le lunghe.
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