Arrivava ad Assisi in bicicletta. Entrava nel monastero di San Quirico. Si caricava di documenti falsificati. Riprendeva la bicicletta e portava i documenti a Viareggio, Genova, altrove. Quei documenti servivano a dare una nuova identità a cittadini italiani ebrei, perseguitati da nazisti e fascisti.
Me lo confermava una suora clarissa di clausura, molti anni fa, quando lavoravo alla “Gazzetta dello Sport”. Era stata testimone di queste tappe furtive, segrete, silenziose, misteriose, umanitarie. Era Gino Bartali, mi disse. Il campione di ciclismo, mi spiegò. Andava e veniva, arrivava e spariva, mi raccontò. La sua testimonianza sarebbe stata preziosa per poter iscrivere Bartali fra gli uomini giusti nel giardino dei giusti, non solo a Gerusalemme. Poche parole, poi tornò fra le sue consorelle.
Oggi, a poche decine di metri dal monastero di San Quirico, il Museo della Memoria Assisi 1943-1944 onora l’attività clandestina di Bartali e ospita alcuni tesori, semplici e storici, della sua fede. La cappellina, l’inginocchiatoio, oggetti personali – calici, ampolline, rosario… - fra cui il libro delle messe celebrate nella sua casa di Firenze, più di trecento, la prima nel 1937, l’ultima poco tempo prima della morte nel 2000. C’è anche una bicicletta, marchiata Bartali, donata recentemente da un appassionato. Un anno fa c’era stata la bici Bartali autentica, quella del Tour 1949, prestata da Gianfranco Trevisan.
Sono tornato ad Assisi un paio di settimane fa, alla vigilia della Cicloturistica La Francescana. Una visita guidata da Marina Rosati, ideatrice e curatrice del museo, e da Gioia Bartali, figlia di Andrea e nipote di Gino. Mi è tornato in mente Bartali, quella volta che lo intervistai al Giro d’Italia, un vulcano di ricordi. O quella volta che lo convinsi a farsi ritrarre da Giuseppe Pino per la copertina di un numero speciale di “Panorama”. O quella volta che andai a trovarlo a casa, a Firenze, quando era afflitto dal fuoco di Sant’Antonio, e mi mostrò la cappellina e l’inginocchiatoio. Fu in quella occasione che Bartali mi spiegò che la vita è un grande Giro d’Italia, e aggiunse che lui era ormai giunto all’ultima tappa.
E mi è tornato in mente anche Giovannino Corrieri, il diabolico angelo custode di Bartali, che gli voleva un bene dell’anima. Corrieri era l’unico dei gregari ad accompagnare il suo capitano anche la mattina, prima della tappa, quando Bartali voleva seguire la messa. E poi con Bartali condivideva l’auto il mese successivo ai Tour de France, quando giravano per correre anche due volte al dì. Gino guidava e parlava, e Giovannino, per sopravvivere, aveva imparato a tenere l’occhio sinistro aperto, così Bartali continuava a guidare e parlare, e l’occhio destro chiuso, così lui finalmente riposava o addirittura dormiva.
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