«Il Mondiale è come la settimana della moda, sfilano i marchi del lusso mondiale, le più belle modelle e noi italiani, che la moda l’abbiamo inventata, non siamo più ammessi perché non sappiamo più creare nulla e siamo vestiti di stracci».
Mario Cipollini attacca ma è triste perché «da italiano mi dispiace assistere a uno scempio simile. Il nostro è un disastro totale e non per come è finito questo Mondiale. È il nostro ciclismo in generale che è un disastro, un fallimento totale».
Cipo, qualcuno ti potrebbe rimproverare dicendo che abbiamo vinto il titolo tra gli juniores.
«Quel ragazzo (Finn, ndr) ha fatto una cosa straordinaria, ha corso da dio. Ma se corre all’estero, per una squadra tedesca, vuol dire che in Italia neppure tra i giovani ci sono più squadre all’altezza. Eppure prima erano gli stranieri che venivano a scuola da noi. Anche questo ti fa capire che da noi ormai il ciclismo è inesistente. Pure chi è nel nostro settore evidentemente considera che in Italia non ci siano più maestri, tecnici capaci di insegnare il senso del ciclismo».
C’è chi parla di scuola azzurra delle crono.
«Ma non facciamo ridere! L’unica scuola italiana che esiste ancora è quella della pista, di Marco Villa. Ganna, che è un talento, si è affermato quando è passato all’Ineos. Affini corre da sempre in Olanda con la Visma. Cattaneo, che non è un ragazzino, era un corridore senza futuro prima di andare da Lefevere. Corridori che sono diventati forti con le metodiche di allenamento, con i materiali e con gli studi dei team stranieri. Se vuoi puoi aggiungere che siamo forti anche nella staffetta mista, nel tiro alla fune e nel fazzoletto, giochi a cui non interessa nulla a nessuno».
L’Italia oggi mi pare sia partita con un solo corridore, Cattaneo.
«Lui è stato bravo a entrare nel gruppetto. Poi ci sono stati Bagioli e Ciccone che hanno fatto due comparsate da pochi secondi. Altri non mi risulta che ce ne fossero in corsa».
Di chi è secondo te la colpa di questo disastro?
«Questi sono i risultati della gestione precedente a Dagnoni. Ha ereditato un sistema fallito e ha solo cercato di salvare il salvabile, quello che ancora non era marcito. E l’unico settore salvabile, pur tra mille difficoltà, è stata la pista e i suoi ragazzi».
Mario come si esce da questa situazione?
«Facendo come in quei Paesi dove sono stati capaci di interpretare il cambiamento. Perché all’estero ci sono governi, grandissime industrie e banche che investono nelle squadre? Bisogna essere capaci di rivolgersi al mondo politico e imprenditoriale non per portare gli amici in vacanza, ma per far capire che il ciclismo in Italia è un importante fattore sociale e culturale. Di certo non se ne esce con un cambio di presidenza a livello federale. Non vorrei assistere ancora una volta allo spettacolo di due che litigano per spostare di dieci centimetri il confine di una proprietà di campagna senza che si siano accorti che la casa è crollata».
Passiamo ai protagonisti della gara iridata.
«Gli inseguitori di Pogacar ci hanno creduto poco perché a un certo punto potevano tentare di riprenderlo. Evidentemente Tadej era rimasto a corto di zuccheri e ha dovuto aspettare che il ciuccino gli facesse effetto».
Quella dello sloveno è stata un’impresa straordinaria.
«Anche un po’ inutile se non rischiosa. Avrebbe stravinto lo stesso con un attacco più da vicino».
Soprattutto Evenepoel, ma anche Van Der Poel, non mi pare siano stati super.
«Si sono annullati a vicenda e non avevano gambe per fare la differenza. Poi Remco è così, se non stacca tutti si stizzisce. Vorrebbe che gli altri lo aiutassero per poi staccarli perché lui è il più forte. Ma il ciclismo non funziona così».