E’ un libro che si può leggere dall’inizio: “Ricordo molto bene il cane. Era un cane giallo, un boxer. Ricordo molto bene di essere stato l’ultimo a vederlo vivo, perché sono stato io a metterlo sotto. Nello stesso istante ho sentito la ruota davanti piegarsi e il manubrio picchiare sul mio braccio sinistro”.
E’ un libro che si può leggere dalla fine: “Ho incrociato il vincitore di giornata ancora nella sua tenuta. Abbiamo preso l’ascensore insieme”. “’Vai a festeggiare?’. ‘Sì, ma senza esagerare, perché domani si ricomincia. Si pedala per i soldi. Io quest’anno ne guadagnerò parecchi: la tappa degli Champs-Elysées paga bene…’. Arrivato al suo piano mi ha stretto la mano e mi ha detto: ‘Vado a mettermi il completo, ma credo che ci ballerò dentro’”.
E’ un libro che si può leggere aprendo a caso: “Quando vado in bici con qualcuno per la prima volta lancio subito un’occhiata alle sue gambe per sapere a quale ritmo possiamo andare e di che morte dovrò morire. Il ciclista si capisce dalle gambe”. Oppure: “L’inferno è il ritmo degli altri. Quando la decisione di accelerare o rallentare non è più vostra, siete un altro ciclista”.
E’ un libro che racconta ricordi: “Mi ricordo che Dustin Hoffman doveva indossare la maglia gialla e che era venuto al Tour 1984 proprio per quello. Doveva indossarla in un film che si doveva chiamare ‘La maglia gialla’. Hollywood non riuscì a chiudere il cerchio finanziario dell’impresa”.
E’ un libro che narra salite: “Il Ventoux, invece, è solitario. Posato sulla pianura. Non controlla alcuna valle, non porta da nessuna parte. Serve solo per essere scalato. Ha un suo clima e costituisce un paese a sé stante. Ha la sua fauna specifica di processionarie e di carabi e la sua flora di papaveri villosi di Groenlandia e sassifraghe di Spitzberg”.
“Io e la mia bicicletta”. Il titolo originale è “Besoin de vélo”, bisogno, necessità, esigenza, addirittura urgenza di bici, del 2001. L’autore, Paul Fournel, è uno scrittore che alla bicicletta si è ispirato e a volte anche disperato, che sulla bicicletta è cresciuto e vissuto, che per la bicicletta ha scritto articoli e libri. Questo (AlVento / Mulatero editore, 284 pagine, 17 euro) è un mosaico o un caleidoscopio, un’antologia o una piccola enciclopedia dedicata a “un colpo di genio”, “un veicolo ingegnoso che permette a un uomo seduto di muoversi con la sola forza dei muscoli andando due volte più lontano e due volte più veloce dell’uomo a piedi”, “una forma di doping”, “la via più corta verso il raddoppio di se stessi. Due volte più veloci, due volte meno stanchi, due volte più vento in faccia”.
E’ un libro che tocca le manie (“Poco tempo fa mi sono accorto che da una trentina d’anni inforcavo volentieri la bici sollevando la gamba destra e passandola sopra la sella. Da quel momento lo faccio una volta con la gamba destra e una con la sinistra”), recupera le memorie (“Nel velodromo di Saint-Etienne ho visto Coppi vecchio, ho visto Anquetil, ho visto Rivière darsi battaglia. Ho visto gli stayers pazzi dietro al moto che aggiungeva un sapore di petrolio alla nuvola di tabacco”), rivela intimità (“In bicicletta amo elaborare pensieri paradossali, pensieri all’apparenza inadatti. Pensare metodicamente a Proust…”), costruisce teorie (“Il ciclista è il giroscopio di se stesso. Non solo genera movimento, ma fabbrica anche equilibrio”), stabilisce principi (“La bicicletta ha un buon odore” e “il rumore della bicicletta è il rumore del vento”).
E’ un libro bellissimo.
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