Da ormai mezzo secolo fotografa gregari e campioni di ciclismo al Giro d'Italia, al Tour, alla Vuelta, alle cento e passa gare che in un anno si disputano nel mondo. Roberto Bettini iniziò a 15 anni, fotografando la prima vittoria di Saronni esordiente e poi maneggiando anche un artigianale macchinario per il fotofinish, che allora muoveva i primi passi. Sul fronte del ciclismo, oggi la sua Sprint Cycling Agency é seconda nel mondo solo all'americana Getty Images: Bettini ha lavorato e lavora per Olimpia, Ansa, Reuter, Gazzetta dello Sport e l'Équipe e da qualche anno lo affianca il figlio Luca.
Autore di una ventina di libri sul ciclismo, pluripremiato dai giornalisti sportivi, è testimone di cambi epocali, nelle macchine fotografiche passate dalla pellicola al digitale, nelle prestazioni dei ciclisti che da epiche come quando si correva in mezzo alle bufere di neve oggi sono regolate dai computer. E in mezzo a tutto questo trova anche il tempo per gestire, da vent'anni, il bagno Susanna a Punta Marina di Ravenna.
Lei risiede nel Milanese, da marzo a ottobre si trasferisce a Punta Marina e da qui parte per andare a fotografare le gare ciclistiche in ogni angolo di mondo... è così?
«Sì. Con mia moglie Paola ho acquistato questo bagno nel 2005 e una grande mano la dà anche Thomas, il secondogenito, 31 anni, mentre Luca sta prendendo la mia strada, molto del lavoro lo faccio fare a lui».
Come mai da Milano a Punta Marina...
«Nel 1961, quando avevo neanche un anno, i miei genitori comprarono un capanno alla foce del Bevano e a ogni estate per tre mesi stavamo li. Nel 1980 i miei l'hanno venduto, l'ambiente era cambiato, non c'era più tranquillità. Poi nel 1988, quando Luca aveva un anno, io e mia moglie Paola... sa che correva in bici...! decidemmo di venire al mare qui a Punta Marina, al bagno Susanna. Ogni anno per tutta l'estate lei stava qui con il bimbo, mentre io ero in giro per lavoro. Poi quando i vecchi titolari l'hanno messo in vendita, l'abbiamo acquistato».
Trent'anni fa la spiaggia era spazzata dalle onde per via dell'erosione...
«Grazie ai tanti lavori fatti, adesso la situazione e miglorata, all'epoca c'erano cinque file di ombrelloni, oggi ne ho dodici... però mi lasci dire una cosa, se fanno il parco marittimo, devono fare anche la pista ciclabile fino in fondo, non fermarsi al metà per mancanza di fondi...».
Come nacque la passione per le foto al ciclismo? C'entrano i genitori...?
«No. Babbo Emilio e mamma Rosa erano dipendenti dell'Alfa Romeo... a farmi scoprire ciclismo e fotografia fu un vicino di casa, Gianfranco Soncini, ex corridore in bici... pensi che a Milano abitavamo di fronte al velodromo Vigorelli».
E Soncini che fece?
«Un giorno, avevo 15 anni, mi portò al parco di Monza, correvano gli esordienti, lui doveva fare le foto. Solo che mise anche me sul traguardo e mi fece scattare. Vinse Saronni e io lo immortalai. Sono passati ormai 50 anni, fu la mia prima foto! Da quel giorno cominciai a seguire Soncini sui traguardi e a frequentare una scuola tecnica serale di foto-ottica, cinque anni di studio».
Poi arrivò il servizio militare...
«Nel 1980, anno in cui mamma si ammalò e mori. Nei militari conobbi Gianni Bugno e, visto che ci sapevo fare, il comandante mi nominò fotografo ufficiale dei campionati del mondo per militari. Dopo il congedo incontrai un marchigiano che aveva inventato una macchina per il fotofinish più semplice di quella che allora veniva utilizzate solo nelle gare più importanti. Con Soncini cominciammo ad offrire questo servizio, ogni domenica c'erano tante corse da seguire e quasi tutte finivano in volata... a fine gara andavo in camera oscura e in cinque minuti si riusciva a stilare l'ordine d'arrivo. Di li a poco la Federazione mi chiamò per il fotofinish al primo Giro d'ltalia per dilettanti. L'ho fatto per quattro anni, mi aiutava il babbo mentre io facevo le foto della gara...».
Ormai era entrato nel circuito...
«Tanto che nel 1984 mi offrirono di andare in America del Sud per le foto ai tentativi di record dell'ora fra Bolivia, Cile, Messico... c'era frenesia
dopo l'exploit a gennaio di Moser, li incontrai Alfredo Martini che già era ct della Nazionale, l'anno dopo la Federazione mi chiese di seguire i mondiali su strada in Veneto, a Giavera del Montello. All'epoca non c'erano le moto al seguito, i fotografi erano o lungo la strada o all'arrivo. Li conobbi Cesare Galimberti, capo dell'agenzia Olimpia e fu la svolta».
Vale a dire?
«Nel 1986 l'Olimpia mi incaricò di seguire il ciclismo, ovunque. Sono rimasto con loro fino al 2000. Cominciai con il giro della Spagna, vale a dire la Vuelta, poi nel 1987 la Parigi-Roubaix e il Giro d'Italia: qui avevano autorizzato le moto. Scattavo foto durante la gara, poi verso la fine si correva all'arrivo e mi piazzavo sul traguardo dove Soncini, da par suo, lo chiedeva la Federazione, manovrava il fotofinish».
Lei quindi è stato testimone dell'epica tappa del Giro del 5 giugno 1988 con la bufera di neve sul Gavia..
«All'epoca era tutto alla garibaldina, c'era maltempo, ma in vetta dissero che non c'era neve e Torriani diede ordine di salire. Poi a metà salita arrivò la bufera, le mani quasi si congelarono, non fui in grado al mettere altri rullini nelle due macchine fotografiche, per questo scattai solo 48 foto. C'era chi pedalava sbracciato e senza guanti... Ci furono ritardi enormi negli arrivi giu a Bormio. Con me avevo deil grappini e li distribuii, ricordo a Saronni, a Visentin. Quelle mie foto sono storiche, lassu eravamo solo io e il pilota della moto».
Poi i Tour de France...
«Dal 1990 fino al 2014, quando vinse Nibali, venticinque ne ho seguiti, poi ho lasciato a mio figlio Luca che già lavora con me dal 2002, io ho continuato con i Giri d'Italia, anche l'ultimo con l'impresa di Pogacar. Dal 1987 mi sono fatto ben 640 tappe. Per non parlare delle Olimpiadi, delle lante dite gare che si cor rono in Europa, negli Emirati, in Australia. Insomma dove ci sono le bici ci sono stato e ci sono io. Da anni ho allargato la mia agenzia, la Sprint Cycling Agency: con me ci sono Luca, un giapponese, due belgi, due-tre spagnoli, tre motociclisti, uno è l'ex corricore Guido Bontempi e altri assistenti».
Da quando ha iniziato è cambiato tutto...
«Grazie alla tecnologia i corridori raggiungono velocità impensabili, il digitale ha cambiato completamente la mia professione, oggi si scatta e si mette subito in Rete, ogni fotografo è un'agenzia, oltre che per i media noi lavoriamo anche per grossi team mondlali. Intfne anche i compensi sono cambiati, sono calati anche di quattro volte. Nel 1990 una foto la Gazzetta la pagava 150mila lire, adesso 22 euro».
Da Il Resto del Carlino - Ravenna
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