Più forte del vento, e stavolta non è una roboante metafora di genere. Sua imbattibilità Tadej Pogacar batte Ganna, ma più di Ganna il vento che Ganna ha incontrato un paio d'ore prima in versione meno cattiva. E così, come dice un Pancani in versione democristiana, “Pogacar mette un'ipoteca slovena sul Giro".
Alla faccia dell'ipoteca. Amico Panca, questo si è già portato via la casa e tutto il resto. E chissà che prima o poi, a forza di questi show, persino voi del palco Rai non finirete per riconoscere che questo Giro non solo è finito, ma dopo tutto non è nemmeno mai cominciato. Per la forza sovrumana del leader e per la desolante mancanza di rivali. Uno più uno fa 2024, edizione speciale che andrebbe accettata per quello che è, la straordinaria esibizione personale di un leader troppo forte per tutti, eppure così bravo, così generoso, così serio da regalare spettacolo un giorno sì e un giorno sì.
Visto così, con occhi meno interessati dalla stupida propaganda di regime, sempre tesa a tenere su l'avvenimento con ridicoli duelli (Beppe Conti, solo pochi giorni fa: “Non cadiamo nell'errore clamoroso di considerare finito questo Giro”, hai ragione Beppe, non è finito, è morto stecchito), visto e accettato così com'è, come la fortunata occasione di ammirare il solista superlativo e sbalorditivo, anche questo Giro così finito andrà avanti piacevole, emozionante, indimenticabile.
Lo so, mi esprimo così e mezza Italia mi dà dell'esaltato. Dello spudorato ultrà di Pogacar. Che ci posso fare, confesso la mia debolezza: mi incanta il prodigio, mi lascia a fiato sospeso ciò che supera ogni canone, ogni regola, ogni livello della grigia normalità. In letteratura, nella musica, nella pittura. Comunque, siccome io sono inattendibile, preferisco farmi da parte e lasciare la parola a uno che Pogacar lo vede - lo subisce, lo soffre – da vicino, tutti i giorni, sua signorilità Geraint Thomas. Parole come pietre, parole come elegie: “E' un onore essere avversario di Pogacar. Perchè diventerà il più grande di sempre”.
E' così, è per questo che conviene tagliare corto. Torno a dire, sempre più forte e sempre più convinto: di fronte a questi continui spettacoli, rivedo un qualcosa che mi ricorda un qualcuno. Dunque, la faccio spiccia. Non lo chiamerò più Tadej, lo chiamerò Teddy. Nome e cognome: Teddy Pogackx. Evoca subito un certo modo, un certo stile, una certa prepotenza. Postilla per i duri di cervice: ovviamente il paragone non è fatto sul numero di vittorie, anche perchè Teddy è ancora all'inizio. Io parlo dell'impronta. Del fenomeno famelico, insaziabile, prepotente. Non so quante gare vincerà da qui alla pensione, ma sarà sempre il mio Teddy.