Più pavè, stesso fascino: è la Parigi-Roubaix, la classica che più di ogni altra conserva nell’era moderna il sapore del ciclismo antico. Per quanto il mondo della bici si sia evoluto, nell’organizzazione come nei materiali, qui sono ancora forza, resistenza e voglia di lottare gli ingredienti chiave: prima che con gli avversari, sulle dure pietre del nord francese i conti si fanno soprattutto con se stessi. Dei 260 chilometri del percorso, 56 sono di pavè, distribuito in 29 settori, due dei quali (gli insidiosi Viesly Biastre e Capelle Ruesnes) rispolverati e aggiunti per l’occasione. Il compito di scegliere il vincitore è quasi sempre riservato ai tratti iconici, su tutti la foresta di Arenberg, spartiacque della gara nonostante l’inedita chicane (o inversione a U?) per rallentare la velocità dei corridori all’ingresso, Mons en Pevele e Carrefour de l’Arbre nel finale. Ecco le dieci facce che possono festeggiare nel velodromo.
Mathieu Van der Poel. Vince perché non ha avversari del suo livello, perché sulle pietre ha una marcia in più di tutti, perché insegue la doppietta Fiandre-Roubaix in maglia iridata riuscita nella storia solo a Van Looy. Non vince perché in questa classica serve pure fortuna e anche ai migliori non sempre fila tutto liscio.
Mads Pedersen. Vince perché è l’alternativa più credibile a Van der Poel, perché un anno fa ha capito di esser adatto anche alle pietre francesi, perché accanto ha la squadra giusta per creare grattacapi a Vdp. Non vince perché in questa corsa le energie vanno dosate e lui non sempre è bravo a farlo.
Jasper Philipsen. Vince perché è una corsa che sa affrontare nel modo giusto, perché il secondo posto un anno fa gli ha dato consapevolezza, perché Van der Poel in caso di giornata storta può diventare per lui il gregario che altri non hanno. Non vince perché chi si troverà davanti con lui nel finale farà di tutto per seminarlo.
Jonathan Milan. Vince perché insieme alla Sanremo questa è la classica che gli si addice di più, perché ha la taglia e il motore per affrontare una prova così dura, perché il gioco di squadra potrebbe avvantaggiarlo. Non vince perché è da oltre un mese che viaggia ad alto livello e la riserva potrebbe accendersi.
Luca Mozzato. Vince perché è tagliato per corse dura come questa, perché senza particolari obiettivi ne ha chiuse due su tre intorno al ventesimo posto, perché il podio al Fiandre è la spinta migliore per fare risultato. Non vince perché fin qui ha corso da outsider e da possibile protagonista avrà addosso gli occhi di tutti.
Stefan Küng. Vince perché è la classica più adatta a lui, perché è tra quelli che ne ha corse più di tutti, perché le ultime due partecipazioni le ha chiuse una al terzo posto e l’altra al quinto. Non vince perché piazzarsi con regolarità non significa avere la forza di fare il salto di qualità che porta al successo.
Nils Politt. Vince perché è un altro amante delle pietre, perché nel velodromo di Roubaix gli è già successo di arrivare secondo, perché il podio al Fiandre fa capire che è pronto al punto giusto. Non vince perché per riuscirci deve seminare tutti e nessuno gli lascerà spazio quando proverà ad andarsene.
Alberto Bettiol. Vince perché è tornato ai suoi livelli migliori, perché l’aria del Nord ha su di lui un effetto speciale, perché è già capitato ad altri (Colbrelli, ad esempio) di fare centro all’esordio in questa classica. Non vince perché in una corsa ad eliminazione come questa non sempre ha le energie che servono.
Tim Merlier. Vince perché non è solo veloce ma ha pure fondo, perché le tre Roubaix che ha già corso le ha sempre concluse, perché con il compagno Lampaert può dare una scossa alla difficile stagione della Soudal. Non vince perché la sua superiorità in volata spingerà in tanti a lasciarlo quanto prima per strada.
Dylan Van Baarle. Vince perché insieme a Van der Poel e al tedesco Degenkolb è uno dei tre al via che l’ha già fatto, perché con Jorgenson e Laporte è una delle punte Visma, perché è perfetto per le pietre. Non vince perché ha iniziato la stagione in sordina e ha proseguito su questa falsariga.