Il più grande è Coppi, e non si discute, il più forte è Merckx, e anche questo non si discute. «Ma il mio Pogacar, cari signori, è il Merckx dei giorni nostri, perchè vince su ogni terreno come fanno i grandissimi».
Parola di Giuseppe Saronni, 66 anni, 193 corse vinte in carriera (su quelle dichiarate da Moser avrebbe da ridire, ma siamo a Natale), due Giri d’Italia, la fucilata mondiale di Goodwood, tanto altro, ma in questo caso semplicemente, si fa per dire, colui che ha scoperto Tadej Pogacar facendolo passare pro alla Uae nel 2019.
Saronni, lo sloveno correrà il Giro oltre il Tour, vuole la doppietta: è sorpreso?
«No, è un fuoriclasse, per lui tutto è possibile. Certo è che negli ultimi anni ci hanno provato davvero in pochi. L’accoppiata ora è piuttosto Tour-Vuelta, ma non è la stessa cosa».
Perché?
«La Vuelta non è il Giro, arriva come ultima grande corsa a tappe della stagione, là vincono buoni corridori, certo, ma il Giro, per percorsi, tradizione e pressione e altra cosa».
Ci prova al momento giusto?
«Sì, per due motivi. Credo che il Giro sia una corsa molto più adatta a lui rispetto al Tour: la primavera è un periodo in cui lui riesce a trovare una grande condizione ed esprimere il meglio di sè».
Poi?
«Gli organizzatori, cui vanno i miei complimenti, direttore Mauro Vegni in testa, hanno disegnato un percorso perfetto per lui: sùbito Oropa, due lunghe crono e ultima settimana non durissima. Negli ultimi anni anni la durezza dei percorsi ha spesso scoraggiato i corridori forti dall’affrontare la campagna d’Italia».
Pogacar ha perso le ultime due edizioni del Tour da Vingegaard: non c’è il rischio di perdere ancora dopo le fatiche del Giro?
«Certo, ma non considera una variante: Taddeo è un campione e ragiona da campione. Sa che così entrerebbe nella leggenda con Coppi, Merckx e gli altri 5, sa anche che, arrivando al Tour con la maglia rosa in bacheca, correrebbe più sereno ribaltando un po’ di pressione sul rivale danese, fortissimo anche perchè prepara solo quel grande giro all’anno».
Tra Corsa Rosa e Grande Boucle ci sono solo 33 giorni di riposo...
«Vero, ma lui vuole provarci. Anche se, prendendo subito la maglia rosa, poi bisogna vedere se avrà una squadra all’altezza per difenderla senza sfiancarsi. La sua scelta, però, ha acceso i riflettori su una corsa che da troppi anni è offuscata dal Tour».
Che nel 2024 per la prima volta partirà dall’Italia...
«Certo. Ma con Pogacar in maggio i tifosi avranno ora di che divertirsi davanti alla tv e sulle strade. Immagino da voi a Nord Est, terra che respira da sempre grande ciclismo, la calata di tifosi sloveni nell’ultima settimana, come accaduto in maggio con Roglic...».
Quando gli ha fatto firmare il contratto quattro anni fa avrebbe pensato...
«Fabrizio Bontempi, direttore sportivo alla mia Uae seguiva da sempre il ciclismo sloveno. Hauptman, ct della Slovenia, ci aveva segnalato questo talento, sono andato a vederlo nell’ultima tappa del Giro del Friuli under 23 del 2018 e ho visto un extraterrestre. Pronti via, ha staccato tutti con una facilità disarmante, ma da qui a pensare che potesse vincere sùbito due Tour e tanto altro ce ne passava. E poi c’è una cosa che ha influito nella scelta di provare la doppietta: Pogacar ama l’Italia, le sue prime corse le ha vinte sulle vostre strade a Nord Est, ama il pubblico italiano e vuole vincere a due passi da casa sua».
Roglic, Pogacar: eppure la Slovenia ha solo due milioni di abitanti...
«Incredibile. Ho sempre ammirato il modo di gestire lo sport in quel paese. Primeggiano in tutto. E attraverso lo sport creano cittadini del futuro, sani».
L’Italbici avrebbe bisogno di un Saronni, ora i talenti esplodono a 20 anni come ha fatto lei vincendo il primo Giro a 21...
«Sull’età io ho sempe detto: il talento non ha età. Sul ciclismo italiano in crisi vedo sempre poche squadre, ai miei tempi ce n’era una in ogni paese, e poche corse. Allenarsi per i ragazzi è impossibile per le strade pericolose, e il ciclismo è anche diventato uno sport costoso. Insomma, siamo pieni di amatori e pochicorridori veri».
Manca anche fame?
«Sì, il ciclismo è uno sport duro, vince chi si sacrifica di più. I giovani d’oggi ne hanno voglia?» .
Ci aggrappiamo a Ganna...
«Un fenomeno, come quelli del quartetto su pista. A propopsito vediamo come crescerà Jonathan Milan, altro talento».
Saronni tra Evenepoel, Van Aert e Van der Poel: chi sceglie?
«Fortissimi, ma se Van Aert selezionasse meglio gli obiettiuvi...».
Buon Natale. Con la biglia di Pogacar in rosa sull’albero.
dal Messaggero Veneto