Lo hanno paragonato alla Pimpa perché tutto vestito di bianco a pois rossi ricordava il personaggio dei fumetti e dei cartoni animati disegnato da Altan. Una cagnolina bianca con grandi pallini rossi, lunghe orecchie e la lingua spesso a penzoloni. Giulio Ciccone ha concluso il Tour de France con la lingua di fuori perché per conquistare la classifica degli scalatori contro gente come Jonas Vingegaard e Tadej Pogacar ha dovuto impegnarsi fino all’ultimo gran premio della montagna, ma soprattutto con un gran sorriso e gli occhi lucidi.
Non poteva essere altrimenti. L’emozione provata salendo sul podio finale del Tour de France dal migliore italiano nella corsa a tappe più importante del mondo è stata da pelle d’oca. Nel magnifico scenario dei Campi Elisi, davanti ad una marea di tifosi e alle telecamere di tutto il mondo, il 28enne abruzzese della Lidl Trek ha conquistato un simbolo del ciclismo mondiale che ci mancava da oltre tre decadi e ha esaudito uno dei suoi sogni di bambino.
Al penultimo giorno di corsa ha sbaragliato la concorrenza passando per primo al GPM del Ballon d’Alsace, al Col de la Croix des Moinats, alla Côte de Grand Pierre e al Col de la Schlucht. Perfettamente supportato da Mattias Skjelmose e Mads Pedersen ha chiuso i conti: 105 punti per lui, meglio di Felix Gall che si ferma a 92 e del danese in maglia gialla a quota 89. Et voilà! Les jeux sont faits. 31 anni dopo Claudio Chiappucci, Giulio Ciccone (che all’epoca non era ancora nato) riporta la maglia a pallini in Italia. Era il pallino di Giulio, l’aveva dichiarato alla vigilia della corsa, voglio una tappa e la maglia a pois: la maglia è arrivata. La tappa la inseguirà fin dalla prossima edizione, che partirà dal nostro Paese per la prima volta nella storia. Di pallini #CiccoPimpa ne ha ancora molti, uno in particolare però riguarda la maglia rosa che inseguirà finchè avrà fiato in corpo. Come la Pimpa è molto simpatica e ha una grandissima fantasia, che usa per giocare, disegnare e fare tutto ciò che fanno i bambini, Cicco ha sempre la battuta pronta e promette a tuttoBICI che non smetterà di inseguire i traguardi che ha nella sua lista dei desideri. Non potrà usare razzi, aeroplani o idrovolanti per spostarsi in luoghi lontani e conoscere nuovi amici come fa il personaggio che ha interpretato negli ultimi giorni, ma dopo una meritata vacanza e aver provato il gelato che gli hanno dedicato a Brecciarola (a pois, ça va sans dire, con base cocco e pallini al gusto lampone) rimonterà in sella alla sua bici con lo spirito di sempre. Per divertire, divertirsi e completare la sua collezione di maglie.
Torniamo a quella domenica sera indimenticabile sui Campi Elisi, in maglia a pois, sul podio finale del Tour.
«Ho provato un’emozione grande perché era presente tutta la mia famiglia: i miei genitori, i miei zii, mia moglie con sua sorella e i suoi genitori, vale a dire i miei suoceri. È stata la premiazione più bella e più importante di tutte, al secondo posto metto quella del Giro d’Italia 2019 quando all’Arena di Verona vestii la maglia azzurra. Dopo la festa a Parigi con la squadra e l’immancabile cena sul bateau mouche ho girato come una trottola per l’Europa per partecipare alle kermesse post Tour, la corsa più grande del mondo. Sono rientrato a casa solo il fine settimana successivo con l’idea di riposarmi. Sento il bisogno di staccare una settimana e godermi una bella vacanza al mare con Annabruna (sposata lo scorso 21 giugno a Chieti, alla vigilia del campionato italiano, ndr)».
È stato un Tour entusiasmante, caratterizzato da un duello incredibile e da tappe volate via velocissime. Vale ancora di più aver vinto questa classifica in questa edizione? «Sì, essere stato protagonista è un valore aggiunto, anche se so di non essere stato lo scalatore più forte in assoluto, i primi due della generale e altri hanno dimostrato di essere i più competitivi. Questa maglia premia il corridore più coraggioso, quello che va all’attacco, che corre fuori dagli schemi e ha gambe per scardinare il sistema di punti che privilegia in automatico gli uomini di classifica (in effetti nelle ultime tre edizioni a vincere la classifica degli scalatori erano stati Pogacar nel 2020 e 2021, e Vingegaard nel 2022, ndr). Il ricordo più bello resterà la penultima tappa, quando affiancato da una squadra impeccabile, ho chiuso la classifica. Il peggiore quando ho fatto secondo a Laruns nella quinta frazione, mi aspettavo di più, ma nel finale mi sono mancate le forze».
Hai avanzato qualche dubbio sulla distribuzione dei punteggi. Resti scettico o ora dici “Porca madonza, in fondo vanno bene così”.
«Continuo ad avere delle perplessità e non sono il solo, sono convinto che a breve modificheranno i regolamenti perché c’è troppo squilibrio tra i vari GPM. Capisco che il regolamento è stato studiato per garantire lo spettacolo, e in effetti tutto è stato incerto fino a un giorno da Parigi, ma i superbonus di 40 punti riaprono troppo i giochi (il punteggio è raddoppiato quando i GPM si trovano a oltre 2.000 metri s.l.m. nella seconda parte della tappa, ndr), con il rischio di rendere vani gli sforzi di chi lotta per questa speciale classifica fin dalla prima settimana».
Hai detto: è un sogno che si avvera. Cosa c’era nel cassetto quando sei passato professionista in maglia Bardiani CSF nel 2016?
«Ho sempre voluto vincere una tappa al Giro (ci è riuscito, finora è a quota 3 con i successi di Sestola 2016, Ponte di Legno 2019 e Cogne 2022, ndr) e vestire la maglia rosa, che resta un sogno grande grande grande. Un’altra mia ambizione è vincere la Liegi-Bastogne-Liegi, ci proverò. La maglia a pois è bella perché vistosa, è la più ambita da ogni scalatore, è il simbolo del grimpeur nel mondo».
Che ricordi hai di quando eri bambino e guardavi il Tour alla tv?
«Da abruzzese sono cresciuto seguendo Danilo Di Luca e come tutti tifando per Marco Pantani. Ho iniziato a gareggiare nel 2004, l’anno in cui il Pirata è morto, ho visto e rivisto le sue vittorie più celebri. Tutti dicono che sono il primo italiano a conquistare la classifica degli scalatori dai tempi di Claudio Chiappucci, che a Parigi la indossò nel 1991 e 1992, ma il mio ricordo da ragazzino è Franco Pellizotti ai tempi della Liquigas in maglia a pois nel 2009 (la vittoria nella classifica degli scalatori al Delfino di Bibione è stata cancellata insieme ad altri risultati per la squalifica che gli ha inflitto l’UCI a causa di dati non conformi del passaporto biologico, ndr).
Dove metterai la maglia a pois?
«La appenderò al muro di casa, di fianco a quella gialla indossata per due giorni nel 2019 e a quella azzurra del Giro. Incornicio le più importanti e ho in bella vista la bici che ho utilizzato ai Giochi Olimpici di Tokyo2020, a cui affiancherò quella a pois usata l’ultimo giorno di questo indimenticabile Tour de France. Spazio per altri cimeli, soprattutto se rosa non manca. Non smetterò di correre finché non vestirò il simbolo del primato del Giro d’Italia almeno per un giorno».
Immagino ti chiederanno in tanti una copia autografata della maglia a pois... La prima a chi la regalerai?
«Ne hanno già ricevuta una a testa i membri della mia famiglia, i miei preziosissimi compagni, lo staff che ci ha seguito nell’ultimo mese. Una la donerò a Jovanotti, il mio artista preferito. Non a caso l’estate scorsa avevo chiesto la mano ad Annabruna proprio al Jova Beach Party di Vasto. Con Lorenzo ci siamo messaggiati, è incappato in una brutta caduta in bici mentre era in vacanza nella Repubblica Domenicana… È un vero appassionato, gli auguro di rimettersi quanto prima e sono contento di fargli questo dono».
Il covid ti ha fatto saltare il Giro e rimandare il viaggio di nozze, ma il piano B alla fine non è stato così male...
«La vita sa essere sorprendente e il destino spesso decide per noi. Evidentemente aveva previsto questo. Per me è stato un grande dispiacere dover rinunciare alla corsa rosa e lo è tuttora perché partiva da casa mia e avevo una condizione ottima. Essermi perso la Grande Partenza dall’Abruzzo resterà un rimpianto per sempre. Detto questo, il cambio di programma mi ha dirottato sul Delfinato, dove ho colto una bella vittoria, e al Tour, che mi ha regalato una maglia da sogno. Alla fine è andata più che bene».
La luna di miele è rimandata a fine stagione: prima dove ti vedremo?
«Dopo il Tour ho avuto bisogno di recuperare. Da novembre non ho mai staccato, gli unici giorni di riposo che ho vissuto sono stati quelli forzati passati a letto con la febbre tra aprile e maggio. Ho il bisogno di allentare la corda per poter disputare un buon finale di stagione, in cui punterò a due gare in particolare, il Lombardia e il Giro dell’Emilia. Mi piacciono entrambe, ci tengo ad arrivarci in condizione. Per il viaggio di nozze capiremo con Annabruna appena potremo rilassarci un po’, l’altro lato della medaglia dei successi sportivi sono i tanti impegni che ne conseguono».
Quali “pallini” ti restano?
«Oltre alle gare che ho già nominato e la maglia rosa che prima o poi voglio indossare, ci terrei molto a vincere una tappa del Giro d’Italia in Abruzzo. Per un motivo o per l’altro non ci sono mai riuscito, pare che per me ci sia una maledizione quando pedalo sulle strade di casa, ma il destino è sempre in agguato e qualche volta regala anche sorprese positive. Il prossimo Tour de France partirà da Firenze, mi vengono i brividi a pensarci. Sui Campi Elisi ho conosciuto il sindaco Nardella che mi ha invitato a farmi trovare pronto per il Grand Départ di Firenze 2024. Farò del mio meglio perché il Tour è il Tour, la vetrina più importante. Prima però voglio concludere al meglio quest’anno e, perché no?, puntare all’Oscar tuttoBICI. Ora il ranking UCI mi vede dietro al solo Filippo Ganna, sarà una bella lotta con gli altri azzurri. Magari punto su punto, fino all’ultimo, come è stato per la maglia a pois».
da tuttoBICI di Agosto