Nel mondiale totale, con tutte le discipline concentrate nella stessa settimana e nello stesso Paese, la prova su strada resta la più attesa: schiacciata fra pista e mountain bike, la gara iridata assegna la maglia che conta di più. Si corre fra Edimburgo e Glasgow, la prima metà in linea e la seconda su un circuito di 14 chilometri dove, in assenza di una salita vera, le difficoltà sono la strada vallonata e le tantissime curve, oltre a un clima che ricorda più l’autunno che l’estate. In tutto 271 i chilometri che serviranno per scegliere il campione del mondo, da cercare fra chi va forte nelle classiche ed è pure veloce: ecco le dieci facce che si candidano al trono iridato.
Remco Evenepoel. Vince perché è il campione in carica ed è un collezionista di titoli iridati, perché su un percorso così ha più soluzioni per fare centro, perché a San Sebastian si è ripresentato già tirato a lucido. Non vince perché il Belgio ha due alternative importanti come Van Aert e Philipsen e questo potrebbe condizionarlo.
Wout Van Aert. Vince perché è uscito dal Tour in condizioni splendide, perché con il mondiale ha un conto da regolare, perché ha in mente di fare un regalo speciale al secondogenito appena nato. Non vince perché il Belgio ha due alternative importanti come Evenepoel e Philipsen e questo potrebbe condizionarlo.
Jasper Philipsen. Vince perché per un velocista come lui questa è una grande occasione, perché vincendo 4 sprint su 5 al Tour ha rivelato di esser più Master che Disaster, perché in caso di volata ha pochi rivali. Non vince perché il Belgio ha due alternative importanti come Evenepoel e Van Aert e questo potrebbe condizionarlo.
Mads Pedersen. Vince perché è uno di quelli che al mondiale ha già fatto centro, perché al Tour è sembrato molto in palla, perché percorso e clima scozzese gli stanno come un vestito di misura. Non vince perché in squadra ha un corridore come Kasper Asgreen che gli assomiglia molto e andar d’accordo tatticamente non sarà facile.
Mathieu Van der Poel. Vince perché ha il percorso ideale, perché ha corso un Tour intero pensando al Mondiale, perché dopo quanto successo in Australia un anno fa (alla vigilia litigò con due ragazze che l’avevano svegliato e fu denunciato) ha qualche sassolino da togliersi. Non vince perché nella sua testa c’è anche il mondiale di mtb.
Tadej Pogacar. Vince perché non si tira indietro nelle gare di paese figuriamoci al Mondiale, perché far secondo al Tour nonostante una preparazione limitata significa stare molto bene, perché il titolo iridato è un bersaglio che gli piace parecchio. Non vince perché il percorso non è abbastanza duro come piace a lui.
Christophe Laporte. Vince perché è uno degli outsider meno considerati, perché anche lui nelle classiche non se la cava malissimo, perché ha nelle gambe la distanza e lo spunto che serve alla fine. Non vince perché non è facile avere sulle spalle la responsabilità della corsa e accanto ha pur sempre uno come Alaphilippe che potrebbe accendersi.
Matteo Trentin. Vince perché è uscito dal Tour con una forma ottima, perché ha statura internazionale e si adatta ai climi peggiori, perché su questo circuito ha già conquistato l’Europeo cinque anni fa. Non vince perché in un mondiale non basta soltanto farsi trovar pronti, ma bisogna pure che tutto giri per il verso giusto.
Alexey Lutsenko. Vince perché si è potuto allenare per un Tour intero, perché dopo esser rimasto all’ombra in Francia è uscito allo scoperto, perché anche lui su tracciati come questo sa inventarsi la giornata giusta. Non vince perché per lui la concorrenza è di livello troppo alto per imporre un passo vincente.
Michael Matthews. Vince perché il tracciato gli fa l’occhiolino, perché non teme né distanza né clima, perché con il britannico Wright e lo spagnolo Aranburu fa parte del gruppo di outsider che meritano un occhio di riguardo. Non vince perché dopo il Giro ha corso poco e al ritorno in corsa non è sembrato brillante.