Nemmeno lo scrittore dalla fantasia più fervida ci avrebbe pensato: costringere Primoz Roglic a mettere piede a terra in un punto determinato dei 7.800 metri della scalata a Monte Lussari, in un tratto in cui il pubblico non c'è se non una persona sola. E pensare che questa persona non sia un tifoso qualsiasi, ma un ragazzo sloveno. E non uno sloveno qualsiasi ma un ex saltatore con gli sci. Ma non un saltatore sugli sci qualsiasi bensì un compagno di squadra di Primoz Roglic da juniores. E non un compagno di squadra qualsiasi ma il compagno di camera, Mitja Meznar. E i due, insieme a Jurij Tepeš e l'attuale capo allenatore della squadra maschile slovena, Robert Hrgota, nel 2007 a Tarvisio hanno conquistato il titolo mondiale di salto con gli sci a squadre junores.
La vicenda ha davvero dell'incredibile: è vero che in quegli attimi concitati - nei quali il meccanico della Jumbo Visma è arrivato con la bci sulle spalle e la prima cosa che ha fatto è stata quella di passare la bici al suo corridore, poi l'ha appoggiata quando ha capito che Roglic aveva riistemato la sua e gli ha dato una lunga spinta per farlo ripartire - Mitja ha potuto far poco, ma quel poco e un grande incitamento in lingua slovena hanno dato a Primoz la carica per continuare il suo sforzo e coronare la sua impresa.
Per la cronaca, dopo il titolo mondiale vinto nel 2007, Meznar ha continuato a volare sugli sc fino al 2017, partecipando a diverse edizioni dei mondiali e a tantissime prove di Coppa del Mondo ed è stato quinto alle Olimpiadi di Vancouver nel 2010. Ma il suo momento di vera gloria lo ha vissuto un sabato pomeriggio di maggio a Monte Lussari. Meritandosi l'Oscar per il miglior attore non protagonista.
E ieri, nella conferenza stampa finale del Giro, Prmoz gli ha giustamenete reso oamggio: «A Monte Lussari non l’avevo riconosciuto subito, perché pensavo soltanto a rimettere a posta la catena e guardavo in basso, e poi gli dicevo “push push push”. È un uomo grande grande, Mitja, è un mio grande amico, compagno di stanza credo per quattro, cinque anni. Ci eravamo un po’ persi, ma lui viene spesso a vedere le mie corse, è un grande tifoso. Sapevo che da qualche parte ci doveva essere, ma non immaginavo che mi avrebbe salvato la crono. Pazzesco, no?».