Quella volta che – alla Vuelta - fu aggredito da Alvaro Pino, direttore sportivo della Xacobeo Galicia, per aver penalizzato un suo corridore colpevole di un rifornimento fuori dalla zona autorizzata. Quella volta che – al Tour du Guadalupe – riuscì a salire sulla propria auto e raggiungere in tempo l’aeroporto solo grazie a un ordine diffuso agli altoparlanti che spalancò la strada. Quella volta che – al Tour de France – segnalò raffiche di forature causa spargimento di chiodi e, prima che il direttore di corsa neutralizzasse la gara, furono gli stessi corridori a rallentare e aspettare. Quella volta che – ai campionati italiani di ciclocross - decise di accorciare durata e distanza per l’impraticabilità del terreno e l’età dei partecipanti.
Celeste Granziera racconta in “Commissaire” (Alba edizioni, 272 pagine, 18 euro) quasi cinquant’anni da commissario e giudice nel ciclismo. Non solo conoscenza del regolamento, ma anche saggezza nella interpretazione e attenzione nell’applicazione. Perché è vero che la legge è uguale per tutti, ma in alcune occasioni si impongono le eccezioni. Un compito comunque delicato, difficile, indispensabile. E un ruolo non sempre abbastanza considerato e apprezzato.
La folgorazione nel 1961, a Mareno di Piave, per un circuito degli assi. Merito del padre, che lo accompagnò. Merito di Aldo Moser e Pierino Baffi, che animarono la corsa. Merito di Miguel Poblet, che la corsa la vinse. La curiosità divenne passione, la passione si trasformò in quella che Granziera definisce “un’avventura”. L’esordio in una gara per esordienti a Catena di Villorba. E poi di tutto. Quella volta che – per un circuito per dilettanti a San Michele di Piave – allungò il ritorno a casa con soste in osterie finché, all’arrivo a casa, ormai notte, la moglie di un collega sbottò: “E non venite a dirmi che le corse sono finite adesso!”.
Quella volta che – al Trofeo Baracchi – squalificò Didi Thurau che, in coppia con Francesco Moser e vittima di una terribile cotta, venne illegalmente assistito dall’ammiraglia. Quella volta che – al Giro del Lazio – concordò con Davide Cassani, il “sindacalista” del gruppo, e permise ai corridori di togliersi il casco prima della salita, ma di indossarlo dopo la salita. Quella volta che – al Giro delle Regioni – invitò i motociclisti, bagnati fradici dopo una tappa sotto l’acqua, a riscaldarsi con cioccolate calde corrette alla grappa, e il giorno dopo nessuno di loro aveva il raffreddore. Quella volta che – al Giro dell’Umbria – si vendicò di un collega, formidabile russatore, registrandone furtivamente l’ululato nasale e poi imponendoglielo al massimo del volume. E quella volta che – al Giro di Sicilia – osò chiedere a Vincenzo Nibali, vincitore, di posare insieme per una foto-ricordo. C’è da capirlo: per Graziera era l’ultima corsa a tappe da presidente di giuria. E quasi cinquant’anni di passione dovevano essere celebrati da un campione.