E comunque vorrei sommessamente ricordare a tutti che Roglic esiste. C'è, è qui, e ogni giorno lotta in mezzo a noi. Ogni giorno controcorrente, tra l'altro.
Mi sento in dovere di parlare dello sloveno perchè sembra proprio che qui al Giro esista solo Evenepoel. Una monarchia assoluta, che non ammette alternative e tanto meno distrazioni. L'altro giorno, nella tappa di Salerno, drammone continuo per la sua doppia caduta, prima per colpa del cane e poi perchè la manovra da cani la fa lui stesso, però dai, alla fine senza conseguenze, tanta paura e zero danni. Proprio nella stessa tappa, in definitiva, passa momenti molto più brutti proprio Roglic, che cade arrivando a Salerno, deve prendere la bici del compagno e mettersi giù a uovo per rientrare prima del traguardo, rischiando davvero la classifica. Ma niente. Roglic non se lo fila nessuno, tutto il mondo ruota attorno ad Evenepoel e ai drammi di Evenepoel: dopocorsa tv, giornali, nugoli di cronisti al suo pullman nel ritrovo del mattino.
Persino nella tappa di Napoli, il giorno dopo, tutti gli occhi puntati su Evenepoel, avrà male, riuscirà a sfangarla, misuriamogli la febbre. La sua tappa però fila via liscia come l'olio di vaselina. Al contrario, Roglic fora di nuovo e di nuovo deve inseguire, rischiando un'altra volta di pagare in classifica.
Difficile capire perchè questa indifferenza e questo silenzio su Roglic. Cos'è, deve pagare i 40'' incassati nella prima cronometro, come un peccato originale che nessun battesimo riuscirà mai a emendare? Oppure deve pagare i suoi 33 anni, in un mondo che ormai tira tutto dall'altra parte, verso quel ciclismo bambino che Paolo Bettini con la sua arguzia dipinge mirabilmente così: “una volta hanno istituito gli Under 23 per far crescere con calma i giovani, adesso se a 23 anni uno non ha ancora vinto almeno un Tour de France è già da sbattere via”.
Personalmente mi ribello e chiedo pari dignità. Roglic merita tutte le attenzioni, meglio, il 50 per cento delle attenzioni, uguali a quelle di Evenepoel. Anche se ha perso a cronometro, resta a pieno diritto uno dei grandi favoriti, comunque uno dei pochissimi pezzi grossi del gruppo. Oltre tutto, noi italiani dovremmo avere un riguardo particolare con lui, perchè dei campioni di quest'epoca è forse quello che più viene al Giro, certo più volentieri. E se poi perderà da Evenepoel, proprio la sua sconfitta renderà ancora più grande la vittoria del belga, perchè battere Roglic assume sempre e comunque un suo significato.
E quanto all'età: a Napoli due ragazzini incoscienti di 36 anni si fanno tutta la tappa in fuga e vengono ripresi a 300 metri dal traguardo. Uno dei due, naturalmente, è De Marchi, chi se non lui, ormai un marchio di qualità che potremmo depositare per la registrazione, qualcosa del tipo “Fuga alla De Marchi”. Grande la sua corsa, grande la riabilitazione di una certa età nel nuovo ciclismo bambino, ancora più grande la sua saggezza sul traguardo: “Alla mia età, non si corre più per un piazzamento. Ho sognato la vittoria. E' andata male. Ma non credo che me ne pentirò. Piuttosto, mi piacerebbe che tanti giovani venissero via in queste fughe un po' folli, provandoci fino a 300 metri dal traguardo: qui invece vedo che a 40 dall'arrivo tirano indietro il piede, già rassegnati”.
E' una verità antica come il mondo: l'età giovane non corrisponde a quella anagrafica. Io trovo che De Marchi sia un eterno adolescente dentro, incorruttibile dal tempo, capace di sogni e stupori che tanti ventenni non proveranno mai.