Già dal titolo mi pare sia detto tutto: “Tappa a Paret Peintre, maglia a Leknessund” (in lombardo, la nuova maglia rosa si potrebbe persino tradurre in E' Nessuno).
Dal nebbione lucano, come neppure in pianura Padana se ne vedono più, non emerge una grande chiarezza. La sola, abbastanza nitida: Evenepoel lascia stravolentieri la maglia rosa, anche perchè al momento non può contare su una squadra che gli permetta di scialare, men che meno tenere la rosa dal primo all'ultimo giorno. Da qui in avanti, bisognerà capire se è come dice minimizzando il diesse Bramati (“una giornata no può capitare a tutti”), o se è invece una debolezza strutturale. Auguri.
Come cambiano gli umori dopo una tappetta neanche tanto cattiva: fino all'altro giorno qualcuno parlava di Giro finito, dopo Lago Laceno stanno già vedendo Evenepoel troppo solo per non finire inesorabilmente stritolato nella morsa della Ineos, della Jumbo, della Uae.
A Dio piacendo, il dato fondamentale è che a quanto pare il Giro sta per cominciare. Segnali, accenni, niente di che: ma forse si dà una mossa. In qualche modo, risponde alla grande accusa di queste prime tappe, la gnagnera generale che ha generato il grande mostro della noia. Altre tappe, terreno solito per velocisti, certo: ma c'è modo e modo. Tanto da indurre il conduttore del “Processo”, Alessandro Fabretti, a porre pubblicamente la questione: va bene così o si può fare qualcosa per rendere anche quelle tappe, persino quelle tappe, meno pestilenziali? Le lasciamo così come sono, tantissimi chilometri come potente aiutino agli insonni, superbamente gestito da sua anestesia Alessandro Petacchi, oppure cerchiamo qualche soluzione nuova?
Fabretti ha fatto benissimo il suo mestiere di giornalista, sollevando finalmente un tema e scatenando la discussione (visto che citiamo sempre Zavoli a sproposito, citiamolo una volta a proposito: così faceva lui, tutti i giorni, senza tanti bavagli e tanti pudori).
Guarda caso, il tema buttato lì da Fabretti è il tema di cui tutti parlano da giorni. Girando tra i pullman della partenza, facendo incontri negli ascensori degli alberghi, ho raccolto quintali di pareri, di proposte, di soluzioni. Al netto dei soliti cretini che la buttano subito in aggressione personale, incapaci di sostenere serenamente una polemica franca e leale, resta un bilancio lusinghiero. Chi chiede tappe di trasferimento più corte, chi chiede di aumentare i premi per smuovere i pigri, chi chiede di accorciare le dirette Tv, eccetera eccetera.
Alla fine, se devo però tirare una sintesi, mi sento in dovere di tornare dopo il lungo giro di parole a un antico punto di partenza del ciclismo. A una frase fatta, a un luogo comune. Proprio così, mai scartare a priori il fondo di verità contenuto nelle frasi fatte e nei luoghi comuni. In questo caso: la corsa la fanno i corridori. Questo, davvero, il nocciolo della questione. Anche il Tour ha lunghe tappe di trasferimento, ma lì ogni giorno tutte le squadre si prendono a randellate per andare in fuga e provare a vincere. A questa realtà innegabile, noi possiamo opporre una realtà avvilente: metà delle squadre, ma forse anche i tre quarti, sono al Giro controvoglia, per dovere d'ufficio, con l'unico obiettivo di finirla al più presto, nel modo meno faticoso possibile.
Non possono bastare le valorose squadre invitate, con la loro pervicace e telefonatissima fuga da lontanissimo, a colmare il vuoto. Finisce anzi che gli altri le usano per mettersi comodi, prima di sbrigare il minimo sindacale del lavoro nei venti chilometri finali.
Si può pensare a un grande spettacolo tutti i giorni, con questi presupposti? Ovviamente no: lasciate ogni speranza, diceva Dante a un certo punto. Non siamo messi benissimo. Mai scartare a priori la potenza dei luoghi comuni. La corsa la fanno i corridori: se la metà dei corridori non fa la corsa, avremo sempre una mezza corsa.