Per vincere la corsa della birra bisogna averne tanta: l’Amstel non è una classicona, di quelle catalogate alla voce monumento, ma le assomiglia molto. Per tradizione (si corre da quasi sessant’anni), per distanza (254 chilometri) e pure per difficoltà: le cotes olandesi non saranno iconiche come il Kwaremont del Fiandre o la Redoute della Liegi, ma per trentatré volte ti mandano su e giù per la campagna, mettendo a dura prova le gambe. Di queste collinette la più popolare è il Cauberg, anche perchè raduna alla sua base una folla enorme col boccale in mano: si scala due volte e la seconda, per quanto più distante del passato dal traguardo, spesso decide il vincitore. Non sono soltanto le salitelle il pericolo: il meteo, che non nega quasi mai il vento e la pioggia, e le strade strette diventano insidiosi trabocchetti. E’ la corsa del Nord che in questo millennio più delle altre ha strizzato l’occhio agli italiani: sei delle sette vittorie nostre sono arrivate dal 2002 in qua. Ecco le dieci facce che nei Paesi Bassi possono issarsi sul gradino più alto del podio.
Tadej Pogacar. Vince perché parte sempre per farlo e il più delle volte gli riesce, perché gli capita di far bene anche le corse meno dure, perché in questa occasione non ha avversari alla sua altezza. Non vince perché come alla Sanremo trova un percorso che si apre a molti più candidati.
Neilson Powless. Vince perché è da due mesi che corre nell’avanguardia del gruppo, perché con le strade del Nord ha dimostrato di avere confidenza, perché nelle gare d’attacco si trova a proprio agio. Non vince perché trova sempre qualcuno che al momento buono ha un guizzo migliore del suo.
Tom Pidcock. Vince perché con questa corsa ha un ottimo feeling, perché dopo averla persa al fotofinish da Van Aert ha un conto da regolare, perché vuole lasciare una traccia anche nelle classiche del Nord. Non vince perché avere accanto Kwiatkowski, che qui si è imposto due volte, potrebbe condizionarlo tatticamente.
Andrea Bagioli. Vince perché in questa primavera la sua forma è lievitata nei tempi giusti, perché ha già dimostrato di poter recitare da protagonista, perché l’assenza di Alaphilippe gli offre maggior libertà. Non vince perché aver poca esperienza nei grandi appuntamenti alla fine può pesare.
Sergio Higuita. Vince perché è in un ottimo momento, perché fra i colombiani è quello che sta emergendo anche nelle classiche, perché ha le caratteristiche giuste per interpretare questa corsa. Non vince perché la sua generosità spesso lo lascia senza le energie nei momenti in cui la corsa si decide.
Bauke Mollema. Vince perché è uno dei più esperti nelle classiche, perché dei corridori di casa al via è il più credibile, perché è di quelli che affronta le corse per fare risultato e non per allenarsi. Non vince perché non ha un gran feeling con questa classica, forse perché non è dura come piace a lui.
Matteo Sobrero. Vince perché è il nome che non ti aspetti, perché sulle severe strade spagnole ha appena dimostrato di saper andar forte, perché come il ‘cognato’ Ganna vuol dimostrarsi buono da classiche. Non vince perché nelle classiche non servono soltanto gambe buone per riuscire a fare centro.
Tiesj Benoot. Vince perché le classiche sono il suo terreno di caccia preferito, perché su queste strade ha dimostrato di essere da corsa, perché dopo tante promesse la sua Jumbo qualcosa deve mantenere. Non vince perché correre da punta unica è più complicato che far parte di un attacco con più frecce.
Benoit Cosnefroy. Vince perché c’è andato vicinissimo un anno fa, perché arriva a fari spenti dopo una primavera calibrata su queste classiche, perché è pronto per ottenere un risultato che conta. Non vince perché nelle classiche non ha mai avuto un ruolo da protagonista, ma solo da buon comprimario.
Matej Mohoric. Vince perché è un uomo da classiche, perché sia lui che la Bahrain stanno cercando un risultato importante, perché ha tutte le qualità per far bene su queste strade. Non vince perché è andato forte in marzo e potrebbe aver iniziato la parabola discendente.