Invadono le ZTL, abitano gli sterrati, vivono all’aria. Frequentano le officine, occupano le cantine, visitano i caseifici. Indossano maglie di lana, impugnano borracce di alluminio, calzano scarpe di cuoio. Trasformano cancelli in gioielli, ma forse anche il contrario, gioielli in cancelli. Non hanno il senso del tempo, o forse il conrrario, sono gli unici ad averlo. E grazie a loro la bicicletta acquista un magico potere direzionale: andando avanti, li riporta indietro. In tempo.
Flavio Maria Tarolli descrive i ciclostorici, i pedalatori dell’arca perduta, telai rigorosamente di acciaio, cambio preferibilmente sul tubo obliquo, gabbiette strettamente legate ai piedi, andature volutamente turistiche. “Non mollare!” (Reverdito, 224 pagine, 19 euro) è il suo omaggio a quel popolo a due ruote convertito da Gerbi e Ganna, devoto a Girardengo e Binda, ispirato da Guerra e Bartali, spinto da Coppi e Magni, fermo a Gimondi e Motta, quel popolo contrario all’agonismo, aperto ai piaceri del viaggio, della tavola, della compagnia. Il ciclismo per rallentare, per fermarsi, per ritornare. Ma anche per conoscere e riconoscere, per trovare e ritrovare, per scoprire e riscoprire, per sfoggiare ed esibire.
Tarolli ricomincia dai due anni di pandemia, dai periodi di quarantena, anche da una caduta con tanto di coma e ospedale. E si restituisce alla vita scrivendo di corse d’epoca, dalla Furiosa alla Lastrense, e di corridori epocali, da Mara Mosole a Carlo Delfino, di templi storici, come il Vigorelli, e di percorsi eterni, come la Ciclabile del Mincio, di gruppi nostalgici, come i Cani Sciolti di Mantova, e di gruppetti scatenati, come le Charlie’s Angels della Francescana.
“Non mollare!”, spiega Tarolli, “racconta l’intensità vissuta nel corso di sparute pedalate, dà voce a esperienze di uomini e donne incontrati e, da ultimo, ai pensieri e ai sentimenti vissuti quando costretti a pedalare epiche salite, ore d’aria e ritrovi pseudoclandestini”.
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