Elegante e riservato, mai sopra le righe, un corridore che ha saputo essere nella sua vita terrena ambasciatore naturale del nostro sport. Un Signore con la “S” maiuscola, che ha saputo essere campione in sella alla bicicletta e giù di sella, dove ha fatto un po’ di tutto, con garbo e competenza, passione e misura.
Ci ha lasciato questa notte Vittorio Adorni, 85 anni, una vita in bicicletta, che ha cavalcato fino a poco tempo fa. Nato a San Lazzaro Parmense il 14 novembre del 1937 è stato campione di ciclismo, dirigente sportivo, conduttore televisivo e opinionista. Professionista dal 1961 al 1970, vinse il Giro d’Italia 1965, ed era il più anziano vincitore della corsa rosa in vita.
Esordì fra i professionisti nel 1961 e corse negli anni in cui esplose la rivalità Gimondi-Merckx, quest’ultimo suo compagno di squadra alla Faema e, nonostante avesse a che fare con quei due nel corso della sua luminosa carriera, riuscì a raccogliere numerosi successi.
Nel suo palmarès figura tra gli altri il Giro del ‘65 quando batté di 11'26" Italo Zilioli e di 12'57" proprio Gimondi; da allora simili vantaggi nella corsa rosa non si sono più ripetuti.
Tre anni più tardi, nel 1968, arrivò la sua vittoria più prestigiosa, quella che è rimasta negli annali del ciclismo e dello sport tutto, il Campionato mondiale su strada di Imola, dove, pur non presentandosi nel lotto dei favoriti, riuscì a trionfare con un tentativo da lontano a novanta chilometri dal traguardo, che lo portò al successo con un vantaggio di 9'50" su Herman Van Springel e 10'18" su Michele Dancelli. Quella fu l'unica vittoria di rilievo di Adorni in una gara in linea, nelle quali ottenne tuttavia molti piazzamenti di prestigio (ha concluso fra i primi dieci almeno un'edizione di tutte le Classiche Monumento, salendo sul podio una volta alla Milano Sanremo e tre volte alla Liegi-Bastogne-Liegi.
In carriera ha vinto 60 corse e ha vestito complessivamente 19 giorni la maglia rosa di leader al Giro. È stato uno dei primi sportivi a sapersi destreggiare con disinvoltura davanti ai microfoni, grazie alla sua presenza scenica e ad una indubbia capacità oratoria, che per quegli anni era davvero una rarità.
Spigliato e a suo agio davanti alle telecamere, durante il vittorioso Giro del’65 Sergio Zavoli lo volle al proprio fianco come opinionista fisso al “Processo alla Tappa” mentre nell'anno del successo mondiale diventò conduttore assieme a Liana Orfei del telequiz “Ciao Mamma”. Per via della sua competenza e capacità di linguaggio nell'analisi delle corse, viene considerato un precursore dei successivi commentatori tecnici.
Lasciata l'attività agonistica, proseguì per un certo periodo la professione di commentatore televisivo. Per due anni fu poi direttore sportivo alla Salvarani, mentre nel 1973 ebbe lo stesso incarico alla Bianchi Campagnolo. Ha in seguito ricoperto la carica di presidente del Consiglio del ciclismo professionistico all'interno dell'Unione Ciclistica Internazionale, nonché dal 2006 al 2009 quella di assessore allo Sport del Comune di Parma.
Qui di seguito vi riproponiamo forse l’ultima intervista concessa a Ciro Scognamiglio della Gazzetta dello Sport, apparsa lo scorso 15 di novembre.
Dalla Gazzetta
Se pensate che 85 anni siano troppi per emozionarsi, allora non avete ascoltato ieri sera la voce di Vittorio Adorni: «Al pomeriggio sono andato a una manifestazione al Teatro Regio di Parma. Mi hanno chiamato sul palco e omaggiato per il mio compleanno. Tutti in piedi ad applaudire. E che applausi. Forse neanche per aver vinto il Giro d’Italia e il Mondiale ne avevo ricevuti così…». Resta il piacere di sempre parlare con il campione emiliano, sguardo acuto su quello che è stato e quello che sarà. Con una bussola a guidarne il cammino.
Quale, Vittorio?
«La bici. La bici che fa ancora parte della mia vita. Certo, dopo gli 80 anni ho capito che alcune cose non potevo più farle. Ma in bici ci vado sempre. Non tanti chilometri, ma una decina, sì».
Il ciclismo ha tanto passato. Almeno altrettanto futuro, dal suo punto di vista?
«Almeno. È lo sport più bello».
Perché?
«Guardate negli occhi l’entusiasmo del pubblico a bordo strada quando passano i corridori. E poi ditemi se non è così».
Come ha festeggiato il compleanno?
«Tutto sommato, niente di particolare. La cena in famiglia con i piatti parmigiani però non poteva mancare. A cominciare dal nostro salame e dalla pasta fresca».
A 85 anni, come si sente?
«Bene, tutto sommato. Fortunato e felice per tutto quello che la vita mi ha dato. Sono tanti 85 anni, ma io non me li sento».
Come si fa?
«Avere sempre qualcosa da fare, in rapporto alle proprie possibilità, è sempre una buona scelta. Anche, “semplicemente”, dando una mano nelle faccende casalinghe».
Segue ancora l’agonismo?
«Sempre. Anzi, non vedo già l’ora che tornino le grandi corse, in primavera. Non vado più troppo in giro. Ma mi informo con i giornali, guardo la televisione».
Sembra l’epoca dei nuovi Merckx. Tadej Pogacar e Remco Evenepoel sono due esempi e…
«La fermo subito. Il nuovo Merckx io non l’ho ancora visto. Aspettiamo almeno un altro paio d’anni. Eddy è stato Eddy per quante stagioni? Tante. Dunque, ne riparleremo».
Eddy le è fatto gli auguri?
«Non sono riuscito a rispondere in tempo! L’ho richiamato».
I giovani fenomeni di oggi non le piacciono?
«Mi piace guardare chi fa una grande impresa e non aspetta gli ultimi chilometri per attaccare. Se succede una cosa così, mi entusiasmo. Ma in generale non mi piace che il gruppo sia troppo numeroso, arrivando a 170-200 corridori. Per me 130 sarebbero sufficienti. E i migliori si dovrebbero sfidare sempre negli appuntamenti più importanti».
L’impressione è che preferisca il ciclismo dei suoi tempi.
«Sì, e non impazzisco neppure per le radioline. Ogni limitazione dell’istinto puro, quando si è in gara, fa perdere qualcosa».
Il 14 novembre è diventato, con lei, Hinault, Nibali e non solo, il giorno dei campioni. Che cosa le ispira questa coincidenza?
«Mi sento un pochino più legato a chi è nato nel mio stesso giorno, come anche Davide Boifava e Nakano... A proposito di Nibali, mi dispiace molto che si sia ritirato, come anche Valverde. Un nuovo Nibali, nel ciclismo italiano, non lo vedo. Mi pare che il nostro riferimento, con altre caratteristiche, sia Ganna».
I suoi due grandi successi per eccellenza sono il Giro d’Italia 1965 e il Mondiale 1968. Quale sceglie?
«Non scelgo! Perché dovrei? Al Mondiale il distacco che ho dato al secondo, 9’50” a Van Springel, non è stato più neppure avvicinato. Anche al Giro, il secondo, Zilioli, arrivò a 11’26”. Il margine più grande dal 1955. Sono numeri, ma spiegano».
E l’incontro nella vita che è stato più emozionante?
«Va bene se ripropongo una risposta di qualche tempo fa?».
Beh, per gli 85 anni glielo possiamo concedere.
«Ho avuto il privilegio di incrociare Samaranch e il Principe Alberto di Monaco, Grace Kelly e Claudia Cardinale. Ma il brivido più potente l’ho avuto con Papa Francesco, per i 50 anni di matrimonio con Vitaliana: veramente da pelle d’oca».
Ciro Scognamiglio, La Gazzetta dello Sport, 15 novembre 2022