Per chi pensa che Artico sia la marca di un surgelato. Per chi crede che in Lapponia abiti Babbo Natale, ma non la Befana. Per chi sostiene che la Kamchatka sia un’invenzione di Risiko.
Per chi fa fatica ad alzarsi alle sette di mattina. Per chi non riesce ad andare a dormire alle nove di sera. Per chi non sa che cosa fare dalla mattina alla sera.
Per chi non sogna, ma anche per chi non si ricorda i sogni. Per chi non immagina, ma anche per chi non sa immaginare. Per chi non ha, almeno una volta nella vita, esagerato.
Per chi scommetterebbe che fat bike è una pancetta da aggiungere alle uova per una colazione all’inglese. Per chi giurerebbe che Skyr sia una rete televisiva. Per chi azzarderebbe che 415ppm CO2 sia un tipo di mascherina antiCovid.
Per chi confonde Kindle con un ovetto al cioccolato. Per chi scambia Henry David Thoreau per un fuoriclasse della Nba. Per chi considera il MacBook un panino imbottito.
Per chi ritiene che a 45 gradi sotto lo zero non sia possibile vivere, tantomeno pedalare. Per chi dice che sulla neve non si può pedalare, figurarsi sul ghiaccio. Per chi dichiara che pedalare così sia soltanto un artificio pubblicitario o commerciale.
Per chi s’impigrisce alla sola idea di indossare tuta e scarpe. Per chi s’infastidisce al solo pensiero di un tubolare forato o di una catena incriccata. Per chi si demoralizza alla sola ipotesi di pioggia o di vento.
Per chi spiega che l’effetto serra non esiste, che l’inquinamento atmosferico è un’esagerazione, che le esplorazioni erano quelle di Marco Polo e Cristoforo Colombo.
Per tutti loro c’è un libro che gli farà cambiare idea: “Artico” (Baldini+Castoldi, 192 pagine, 18 euro). Omar Di Felice lo ha scritto innanzitutto per sé, ma il racconto della traversata lungo il Circolo Polare Artico apre le teste, allunga lo sguardo, allarga i confini. E comunque fa viaggiare – nel gelo e nella solitudine, nell’ignoto e nel mistero, nella storia e nella mente - anche solo leggendo.
Di Felice, 41 anni, romano, ci ha abituato a imprese ai limiti della realtà. Si era già spinto in Canada e a Capo Nord, in Alaska e in Islanda, nel deserto del Gobi e sull’Everest. Stavolta si è cimentato in una pedalata di quattromila chilometri al Polo Nord e, nell’ambito del progetto “Bike to 1,5° C”, ha testimoniato e documentato “il mondo che cambia”. E se, alla fine della lettura, ci si sentisse più pronti a saltare su una bici che non su una macchina, a non gettare o a raccogliere un rifiuto, a non lamentarsi per il tempo (meteo e crono), Di Felice avrebbe fatto - ancora una volta - centro.
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