C’è Renato, il titolare del bar, ex corridore dilettante. C’è Alessandra, la sua compagna, che pedala ma nuotando in piscina con la tavoletta. C’è Giulio, che in bicicletta si fa i suoi tre begli allenamenti settimanali. C’è Donato, professione giardiniere, ma tuttologo specializzato nelle bici elettriche. C’è Enrico, ex infermiere colpito dal Parkinson. C’è Vanna, sua moglie, che lo segue, lo accompagna, a volte lo guida e sempre lo aiuta. C’è Paolo, pensionato con il rito del caffè e del giornale, campione in umanità.
E’ il bar dei ciclisti. Un po’ perché la bicicletta è il massimo comune divisore, un po’ perché il ciclismo è il minimo comune multiplo. Di corse e corridori si parla e si tratta, si ascolta e si guarda, si discute e si scommette, fosse solo una gazzosa o un chinotto, o la soddisfazione. E si racconta. A cominciare dalle storie di Gino Bartali, i due acclamatissimi Tour de France conquistati a dieci anni di distanza, ma anche gli innumerevoli viaggi tra Toscana e Umbria e Liguria portando documenti falsi agli ebrei perseguitati dai fascisti. Finché titolari e clienti del bar organizzano una pedalata. Tutti insieme. Appassionatamente.
Pierluigi Tregnaghi, veronese, medico dello sport, ha scritto “Il bar dei ciclisti”, un libriccino di 66 pagine più 11 fotografie a colori (Scripta edizioni, 10 euro), pieno di amore. Amore per la bicicletta e il ciclismo, ma amore anche per quel mondo – il bar - affettuoso e sentimentale, alcolico e analcolico, caffeinico e cartaceo, che fa da centro sociale e perfino culturale, da asilo familiare ed eventualmente politico, da punto di riferimento e di osservazione, da sicuro approdo e pronta ricreazione.
Lieto è il finale. Con Francesco, un frequentatore del bar dei ciclisti, cui spetta l’onore di inaugurare una bicicletta elettrica “un pomeriggio alle soglie dell’autunno, pedalando con eccitazione sulle strade del quartiere e doppiando più volte il bar dove Renato e gli altri sostavano all’esterno con i calici in mano alzati”.
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