A 120 anni precisi dalla nascita (oggi) e a quasi 60 dalla morte (7 febbraio 1963), per scrivere il libro su Learco Guerra (“Il grande Guerra” con Claudio Gregori per AlVento-Mulatero), la prima cosa da fare (e che ho fatto) è stata andare a San Nicolò Po. Quindici chilometri – piatti, padani, campagnoli - da Mantova, direzione sud. Confidando nella clemenza del tempo. Non quello meteorologico, ma quello cronologico.
Nel 1902 San Nicolò Po – nel XV secolo si chiamava Correggioli e ospitava già una fondazione benedettina - era un borgo, un filare di case a pianterreno e primo piano, tetto e camino, lungo la strada da Mantova e per Mantova, come se tutte le strade – una sola, per la verità - portassero a Mantova. Quella strada non aveva bisogno di un nome. Perché era quella, e basta. E bastava. Era lo stradone.
Nel 1902 il borgo di San Nicolò Po (“Quattro case, buttate là e ritte in piedi alla bell’e meglio”, scriveva Vincenzo Baggioli in un libriccino “Learco Guerra – Locomotiva tricolore”, pubblicato ai tempi della gloria), visse il suo massimo splendore: 1200 abitanti, Learco compreso, e un ponte di barche per attraversare il Po e congiungersi con Portiolo sulla riva destra del fiume. Il Po era considerato quasi una divinità: portava leggende e storie, barche e barcaioli, pescatori e pesci, speranze e ricchezze, in una sola parola: vita. La vera divinità stava in “una Chiesucola – ancora Baggioli -, modestissima e poverella, che nei giorni di festa raduna sul sagrato i cento o poco più abitanti del luogo, vestiti con gli... abiti belli: una Chiesucola per la quale le modeste finanze locali non hanno ancora potuto, per quanti ripetuti sforzi se ne siano fatti, mettere assieme tanto da buttare sullo scarno campanile, che già risente il peso degli anni, un orologio sia pur modesto”.
L’energia del paese dipendeva dal ponte sul Po. Spostato il ponte, si spense il borgo. Oggi San Nicolò Po non conta neppure 300 abitanti, neppure un centinaio di case, nessuna parrocchia, nessuna banca, nessuna farmacia. Perfino il nome non gli appartiene per geografia o storia: deriva da San Nicola di Bari, 800 chilometri più a sud. E si tratta di una frazione, mai termine sembra più adatto, divisa a metà fra due comuni, quelli di Bagnolo San Vito e Borgo Virgilio.
La casa natale di Guerra, come indicato dai segnali stradali, è parallela allo stradone. Numero civico 41. Chiusa, disabitata, sospesa nel tempo. Ma accanto, nelle altre case - finestre e cortili, cancelli e scale, piante e fiori - si continua a vivere. E a ricordare.
Il bello è che, parlando con i sannicolesi, la casa natale di Learco non è quella lì, dove la famiglia Guerra ha abitato a lungo, anche quando Learco era un bambino, ma un’altra, lì vicino, lì vicinissimo, proprio sullo stradone, al numero 50. Adesso si chiama via Giuseppe Mazzini. E sembra meno stradone di una volta. Solo che ormai la consuetudine, l’abitudine, solo che ormai i segnali, i cartelli, solo che ormai è andata così. Un innocuo falso storico. E amen.
Così, a San Nicolò Po, di Learco Guerra ci sono le due case natali, una spianata dove ora sorge un piccolo campo giochi per i bambini e che una volta era una pista di allenamento disegnata e realizzata proprio per lui, un murale con il suo ritratto, e quell’aria, quell’atmosfera, quell’ambiente dove ti illudi di poterlo incontrare, il grande Guerra, da un momento all’altro.
(fine della prima puntata – continua)
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