Le belle di un giorno. Le corse-monumento. Le classiche. Quelle nate con il ciclismo e che sono il ciclismo. Quelle che ci sono sempre state e che sempre ci saranno. Quelle che, a chi vince, cambiano la vita. Quelle che, a chi perde, gliela rovinano. Quelle che hanno una geografia e che fanno la storia.
Laurent Galinon, francese, giornalista e autore, fra documentari e reportage, ha scritto “Classiques” (Hugo Sport, 336 pagine, 19,95 euro), luoghi di culto e campioni mitici attraverso sei corse che valgono una vita: Milano-Sanremo, Giro delle Fiandre, Parigi-Roubaix, Freccia Vallone, Liegi-Bastogne-Liegi e Giro di Lombardia, concentrandosi sui punti strategici dei percorsi (Poggio e Via Roma; Muro di Grammont, Kwaremont e Koppenberg; Foresta di Arenberg, Carrefour de l’Arbre e il velodromo di Roubaix; Muro di Huy; La Redoute e Wanne-Stockeu-Haute Levée; Madonna del Ghisallo e Lago di Como) e recuperando punti dimenticati (Bosberg, collina di Saint-Nicolas, Vigorelli, stadio Sinigaglia...). E lo ha fatto con tutta la forza di storie secolari, avventure corsare, gesta letterarie. E lo ha fatto senza pudori, senza freni, senza filtri. Il risultato è esplosivo.
Ci sono corsi e ricorsi. Come alla Milano-Sanremo. Nel 1959 Giovanni Borghi, patron dell’Ignis, entra nella camera 63 dell’Hotel Terminus di Sanremo, dove Miguel Poblet è immerso nella vasca da bagno, e gli dice “lascio le chiavi della macchina sul letto” ed esce, Poblet si affaccia alla finestra e vede, parcheggiata, una Lancia cabriolet, il suo premio-gara. Nel 1973 Giorgio Perfetti, patron della Brooklyn, fuori dall’Hotel Belvedere di Sanremo consegna un mazzo di chiavi a Roger De Vlaeminck e gli dice “te l’avevo promessa, è per te, ragazzo!”, ed è una Ferrari.
Ci sono scandali. Come alla Milano-Sanremo del 2016, quando Arnaud Démare s’impone allo sprint, ma viene accusato di essersi fatto trainare prima da Matteo Tosatto (“Andava il doppio di noi” e “Mai visto nessuno fare così senza scrupoli”), poi anche da Eros Capecchi (“Ci superava a 80 all’ora” e “E’ una vergogna!”), una settimana più tardi è inchiodato da una registrazione a 52 all’ora sulla salita della Cipressa (ma per Galinon si tratta solo di “un rigurgito degli antagonismi fra organizzatori italiani e squadre francesi nel corso degli anni 80”).
Ci sono rivelazioni. Come al Giro di Lombardia del 1986, quando Gibì Baronchelli, “che divora versi della Bibbia come altri inghiottiscono pezzi di pizza”, scattato a un paio di chilometri dall’arrivo in piazza Duomo, non viene più ripreso da un gruppo di otto corridori, tra cui Phil Anderson e Sean Kelly. “La spiegazione è più prosaica che mistica – scrive Galinon -. Nell’ammiraglia della sua squadra, Ernesto Colnago, il proprietario del marchio delle biciclette lombarde su cui corre Baronchelli, aveva in precedenza fatto il giro degli avversari dell’italiano, il libretto degli assegni alla mano, per combinare la vittoria del suo puledro”.
Ci sono citazioni famose. Come al Giro di Lombardia del 1979, quando sul Colle di Balisio, sotto la pioggia, Bernard Hinault attacca Francesco Moser, il suo direttore sportivo Cyrille Guimard gli ricorda che mancano ancora 180 chilometri, e il Tasso gli replica: “Tu occupati del tuo volante e io del mio manubrio!”. E ci sono giudizi azzardati. Come per Giuseppe Saronni: “E’ soprattutto un ragazzo pudico, laconico, incompreso”, “costretto a sbarazzarsi delle sue inibizioni per catturare quella gloria brutale e quella celebrità che rifiutava di indossare”.
Galinon non usa solo tridenti e stiletti. Per la Parigi-Roubaix, “se la generazione di Hinault e Madiot aveva innescato un rapporto di forza con il pavé”, da guerra, il “sensibile, esteta” Franco Ballerini “parla di amore e convoca i sentimenti”, perché lui, il pavé, “lo ama, lo rispetta, lo ascolta”, fino a dichiarare, dopo la vittoria del 1995 che “è una cosa incredibile questo arrivo nel velodromo, una sensazione inspiegabile, un momento indimenticabile, un’entrata in Paradiso. E’ stato semplice, oggi, camminavo sull’acqua, come Gesù!”. E per il Giro di Lombardia del 2015, ecco Vincenzo Nibali “funambolo lucidissimo, acrobata impertinente”, “annulla le leggi della geografia e della gravità in una tecnica innata che resuscita il carattere romantico del Lombardia: una corsa contro la morte”.
Il pirotecnico “Classiques”, finora pubblicato solo in francese, fra colpi di fulmine e di scena, fra aneddoti e curiosità, si divora. Galinon cita John Ford: “Fra storia e leggenda, io sceglierei sempre la leggenda”. A quell’antico fascino deve avere ceduto anche lui. A costo di ricamare o smentire la verità.
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