De Gendt, in olandese, significa “il gentiluomo”. In fiammingo, indica “di Gand”, o qualcosa del genere. Ma nel ciclismo, è simbolo e sinonimo di fuga, o meglio, fuga solitaria. La sua biografia non poteva che intitolarsi “Solo”.
Thomas De Gendt è quello che ha vinto due tappe al Giro d’Italia, la prima nel 2012, quella dello Stelvio, in fuga, da solo, la seconda nel 2022, quella di Napoli, in fuga, ma non da solo. E’ quello che ha vinto anche due tappe al Tour de France, la prima nel 2016, quella dello Chalet Reynard (quasi il Ventoux), in fuga, volata a tre, la seconda nel 2018, quella di Saint-Etienne, in fuga, da solo. E’ quello che dopo il Giro di Lombardia del 2018, tornò a casa in bici, in fuga dal ciclismo, non da solo, ma con un compagno complice, Tim Wellens, un migliaio di chilometri in sei tappe, bagagli appresso. Ed è quello di questo libro raccontato a e scritto da Jonas Heyerick, con una postfazione del curatore Filippo Cauz, tradotto e pubblicato da alvento-Mulatero editore nel 2021 (272 pagine, 21 euro).
Non c’è pagina senza una confidenza, un retroscena, uno sfogo. Pagine 69-70, il trucco: “Il Giro di Slovacchia era una bella corsa, ma le donne erano ancora meglio!”, “Tra l’altro arrivai anche terzo nella cronometro, vinta da Sergej Firsanov”, “A noi belgi qualcosa non quadrava”, Saltarono fuori alcune fotografie della tappa con Firsanov attaccato all’ammiraglia su un lungo rettilineo”. Pagina 87, la bici: “Tutta la squadra usava telai in carbonio, io ero l’unico a gareggiare ancora con una bici in alluminio. Non che mi dispiacesse: i loro modelli davano continuamente problemi. Se si prendeva una buca, la sella si abbassava, a volte ‘sprofondava’ persino il manubrio. Io correvo con un modello più pesante e meno aerodinamico – ribattezzata malignamente ‘il termosifone’ perché sembrava messo insieme con i tubi del riscaldamento -, ma almeno tutto rimaneva al suo posto”. Pagina 106, i premi: “Fino a 5 km dal traguardo sono disposto a tutto, poi mi faccio da parte. Per Borut Bozic, il nostro velocista al Giro di Svizzera, era un atteggiamento inammissibile. Secondo lui non dovevo lagnarmi e dovevo andare a tirare per lo sprint. Mi rifiutai. Quando vinse una tappa, Bozic spartì il premio con tutti tranne che con me. Non ci persi la testa, ma ovviamente più avanti neanch’io divisi il mio premio con lui”.
Pagine 170-171, la birra: “Al Memorial Frank Vandenbroucke si vince della birra. Tanta birra. A un certo punto si sparge addirittura la voce che è in palio il proprio peso in birra”, “Corro lo sprint della mia vita e vinco con tre lunghezze di distacco”, “Anche se alla fine i litri di Chimay furono 25 e non 70, ne era valsa la pena”, “Dividiamo! Dividiamo!”, “Un corno, tanto so da un pezzo che non rimarrò nella squadra. Dopo la corsa carico in auto tutte le bottiglie di Chimay e me ne vado”, “Solo Niki Terpstra riesce a prendersi una bottiglia”. Pagine 231-232, la preparazione: Campenaerts “si prepara fino allo sfinimento ed è estremamente professionale e maniacale in quello che fa”, “Un lavaggio del colon un’ora prima di una cronometro, la barba rasata appena prima della partenza... Mi sembra esagerato”, “Me lo vedo ancora, seduto nel bus della squadra come un mezzo idiota, gli occhiali con la luce blu che stimola la produzione di un certo ormone...”.
Pagina 239, la tappa 22: “La tappa 22 è la festa dopo un Grande Giro, la tappa che lascia il segno più profondo e spesso anche la più epica”, “Il programma prevede di arrivare a Madrid, cambiarsi sul bus e poi andare in città. Un buon ristorante, qualche birra...”, “C’è una sola cosa che non va mai dimenticata: un appunto con il nome e l’indirizzo dell’albergo, qualora non connettessimo più”, “Il nostro polacco, Marczynski, non è abituato agli alcolici, ma quando beve, lo fa alla maniera polacca: senza freni!”. E a proposito di Marczynski, pagina 258, il contratto: “Ogni volta che ha il contratto in scadenza pedala come un fulmine, ma non appena lo rinnova smette di darsi da fare. Esistono molti corridori di questo tipo. E’ un atteggiamento che non sopporto. Si tratta di ragazzi che corrono solo ed escusivamente per i soldi”, “Io non sono fatto così”.
Perché lui è Thomas De Gendt. Solo. E, a suo modo, unico.
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