Il Giro a Napoli, nel 2022, è stato l’elogio mirabile del sublime. Assoluto, e relativo. Solo Napoli, ma non ditelo ad altri supporter che non siano i garbati intenditori di ciclismo, solo la Napoli magica, e non obbligatoriamente schiava degli scudetti maradoniani, di Gomorra e del nonplusultra ad ogni costo, poteva offrire al Giro d’Italia del 2022 un campione come Thomas De Gendt. Solo Napoli, e non ditelo a voce troppo alta, altrimenti invocheranno cantori ed esegeti a dettarvi un panegirico di comodo e a usurparvi l’originalità, solo Napoli poteva iscrivere nella storia del Giro d’Italia, 105a edizione, un vincitore come Thomas De Gendt.
Un fiammingo, De Gendt, senza essere annoverato fra i paesaggisti in evidenza al Museo di Capodimonte, in grado di vincere a Napoli, il 14 maggio, dopo avere trionfato un giorno già al Giro sullo Stelvio, e un altro giorno, al Tour sul Ventoux.
Solo Napoli, al Giro del 2022, poteva suscitare la suggestione verticale - non ditelo a voce alta, perché altrimenti Napoli, già ebbra di cantanti e registi e coristi e cuoristi, andrà fuori di testa - di un ciclista, uomo di terra, unico capace di siglare un siffatto miracolo. Coniugare le vette e il mare.
Solo Napoli, che pure del Giro e del ciclismo il giorno dopo si è già scordata, e di De Gendt pure, poteva tessere l’arcana sottile tela per cui un ciclista primo nel 2016 sul Monte “Ventoso” caro a Francesco Petrarca, potesse andare a vincere uno sprint a via Caracciolo planando sul lungomare in discesa, da una raffinata strada collinare dedicata - hai visto mai... - giusto a Francesco Petrarca.
Solo la Napoli sibillina ed esoterica applicata al ciclismo, che pure neanche nel 2022 è stata in grado di affiggere di buon grado una targa al Velodromo Albricci, in memoria della gloria lì incisa di Fausto Coppi, poteva realizzare una siffatta alchimia, elevando Thomas De Gendt ad imperatore di Napoli, per una non effimera giornata.
E quanto di sublime relativo, ancora, per noi, a Napoli, al Giro del 2022. In punta di piedi e in punta di penna, scrivendoci pure addosso, o più propriamente nell’intimo, a ritrovare in sala stampa l’amico Gianfranco Josti, che non vedevamo da un quarto di secolo e più, da una vacanza a Ischia e dalla Roubaix del 1987. Primo Vanderaerden...
Un abbraccio forte, quante stagioni di ruote e ciclismo, «mi ricordo, Giampi, di tua figlia Benedetta, ma quanti anni ha ora?». E nel mio sublime relativo, emozionato, gli indicavo Benedetta madre nella Villa Comunale con il primo bimbo, il mio nipotino Giorgio, di solo un mese.
Era il sublime relativo e commosso, «come passa bene il tempo, quando è così bello, Giampi, anche da nonni, ritrovarsi uguali».
Come sorrideva meglio, dentro e fuori di noi, fra Thomas e Gianfranco, e il primo Giro di un piccolino, la vertigine di un Giro senza fine.
da tuttoBICI di giugno