Il bello del ciclismo è che tutti sostengono tutti, tutti incitano tutti, tutti incoraggiano tutti. Tutti gli spettatori vogliono bene a tutti i corridori. Il ciclismo non è uno sport che divide, ma che unisce, non è uno sport che separa, ma che collega. Nel ciclismo si tifa per, mai contro. Forse in quei pochi dualismi, ma sotto sotto, in fondo in fondo, neppure lì: perché sotto sotto, in fondo in fondo, c’è stima, se non proprio rispetto.
Ma insulti mai. C’è qualche tappa in cui il gruppo, quando se la prende troppo comoda, viene accolto con l’invito “andate a lavorare”. C’è qualche corsa in cui due corridori se le dicano e anche se le diano. C’è qualche occasione in cui volino parole (e biciclette) tra velocisti e organizzatori, fuggitivi e motociclisti, inseguitori e casellanti. Ma poca roba.
Però qualche insulto apparentemente ciclistico l’ho trovato in un vecchio libro (è del 1984), scovato in uno di quegli scaffali in cui si lasciano e si prendono gratuitamente (a Bogliasco), composto da Gianfranco Lotti, pubblicato da Siad e intitolato “Dizionario degli insulti”. Duemila parolacce, più colte che volgari, molte ormai dimenticate, rarefatte, abbandonate, o semplicemente passate di moda, perché anche gli insulti hanno una loro parabola ascendente e discendente, un tempo più o meno limitato in cui vengono consumati. Ma l’origine di queste parole può riservare sorprese e destare curiosità.
Un corridore scarso potrebbe essere deriso come “scamorza” (“E’ il nome di un tipico formaggio prodotto in diverse zone del Mezzogiorno italiano. La sua forma, simile a un capo mozzo, è probabilmente all’origine della metafora”) o “schiappa” (“Chi poco o nulla vale in ciò che fa; chi si cimenta in qualche campo con grotteschi risultati. Più che di un’estensione semantica di schiappa=grossa scheggia di legno, potrebbe trattarsi di schiappa=natica, chiappona, preceduto da s intensiva con intento ironico-spregiativo”).
La fragilità morale e il ricorso chimico potrebbero spingere a etichettare un corridore come “drogato” o anche “bombato” (“Voce di recente conio giovanile”), l’immaturità e l’inesperienza a qualificarlo “dilettante” (“Chi attende a qualcosa con scarsa professionalità, quasi per gioco, superficialmente”, tant’è che da qualche anno, forse proprio perché non suoni offensivo, la categoria è stata ufficialmente ribattezzata Under 23), la lentezza a “posapiano” (“Persona estremamente lenta, placida, flemmatica nel pensare e nell’agire”).
Sfogliando e spulciando, riscopro epiteti caduti in disuso ma eleganti come “forfecchia” (“Persona fastidiosamente pungente, molesta”), “ninnolone” (“Chi è lento nell’operare, perde tempo, si trastulla”) e “tagliocolletti” (“Chi sparla malevolmente di altri”). Quanto a me, dopo tutta quest’aria fritta, un bel “parolaio” (“Chiacchierone piuttosto vuoto e inconcludente”) forse me lo sono proprio meritato.
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