Il Tour de France del 1919. La sesta tappa, la Bayonne-Luchon di 362 chilometri con cinque colli, Osquich, Aubisque, Tourmalet, Aspin e Peyresourde. La partenza per i diciassette dei sessantasette corridori rimasti in corsa fu data alle due di notte. Lui attaccò ai piedi dell’Aubisque e rimase solo, davanti, scatenato. Henri Desgrange, patron del Tour, e Fabio Orlandini, corrispondente dalla Francia per “La Gazzetta dello Sport”, fecero una scommessa: per Desgrange quel corridore scomposto e sgraziato non sarebbe mai riuscito ad arrivare in vetta senza scendere di sella, per Orlandini sì. Il corridore ce la fece e Orlandini vinse la scommessa. Poi però la sfortuna si accanì sul fuggitivo: sul Tourmalet forò due volte e, tubolare e morale a terra, fu ripreso e superato. Al traguardo, dopo sedici ore e diciotto minuti di sofferenza, arrivò comunque quarto. E comunque fu il primo italiano nella storia ad aver conquistato l’Aubisque.
Paolo Arbasino ha scritto la storia di “Luigi Lucotti” (Museo del Ghisallo Edizioni, 128 pagine, 20 euro), “il Pierrot infarinato” come lo aveva ribattezzato Desgrange perché “la polvere bianca” gli copriva il viso e perché “l’Aubisque e il Tourmalet hanno così scolpito i suoi tratti di dolore e sofferenza da richiamare, per il suo aspetto cadaverico, un Pierrot”. Vogherese, del 1893, una carriera spezzata dalla Prima guerra mondiale, vincitore di una tappa al Giro d’Italia (nel 1914) e di tre al Tour de France (due nel 1919 e una nel 1921), ma anche di un Giro delle Tre Province (nel 1914) e di una Torino-Arquata a squadre (nel 1918), eroe solitario, poi gregario (e “mio amico carissimo”) di Costante Girardengo.
Lucotti fu fedele alla bicicletta. Prima da bambino in adorazione (“Il possesso di una pur misera... carcassa era per me una desiosa chimera”), poi da garzone di un meccanico a Voghera (“A smontare ruote, riparare gomme, catene, freni”), poi finalmente da praticante occasionale (“Il mio padrone d’officina che, qualche volta, per accontentarmi, alla sera mi faceva premio di una vecchia ‘trappola’ per qualche... galoppata”), quindi da pedalatore generoso (“Decine e decine di chilometri, felice e contento quando il percorso si dimostrava difficoltoso per le sue salite”), infine da meccanico e da corridore a Milano (quando il cognato “una sera mi venne in aiuto contribuendo con una buona somma all’acquisto di una fiammante Atala”). La prima corsa (la Voghera-Tortona-Voghera: secondo), gli anni da dilettante, la carriera da professionista, fino a tornare a Voghera e aprire un negozio di biciclette. La vita è una ruota.
Arbasino ha scavato soprattutto negli archivi del “Giornale di Voghera” e del settimanale “La Stampa Sportiva” di Torino e ha trovato storie meravigliose. Quel Giro di Lombardia del 1913 in cui Girardengo, convinto di essere caduto per colpa di Henri Pélissier, “vuole a tutti i costi vendicarsi”, e il francese “terrorizzato, con gli occhi fuori dell’orbita”, “si getta su per la scaletta che immette nella cabina dei cronometristi dove trova un riparo momentaneo alla furia quasi omicida della folla ubriaca”. Quel Giro dell’Emilia del 1917 in cui Lucotti stava per giocarsi la vittoria con Angelo Gremo quando “un motociclista del quale ora non ricordo il nome”, “che in attesa della corsa, aveva partecipato, con altro, ad un’interessante riunione motociclistica”, “a forte velocità procedeva in senso contrario al mio, improvvisamente (e non so spiegarmi come) mi investì gettandomi a terra intontito”. Quel Tour de France del 1919 in cui Lucotti poté partecipare solo “mediante una sottoscrizione avvenuta nei bar cittadini”, poi “tutto solo, si è recato alla stazione ferroviaria di Voghera con la sua bicicletta, con i necessari effetti personali e con ‘una buona scorta di materiale occorrente’”, “ha preso il treno per Parigi”.
Era un ciclismo da “forzati della strada”. Arbasino ha recuperato un pezzo di Mario Fossati del gennaio 1981 in cui Lucotti, incalzato da Tano Belloni, raccontò di “una fatica che le bestie avrebbero rifiutato”, “disponevo di un sacchetto di rifornimento che ritenevo una conquista, come dire, sociale”, “alla sera mi chiedo se qualche notizia planerà sui tetti di Voghera”. Planò. E a Voghera Lucotti ssrebbe morto alla fine del 1980. Aveva 87 anni. E aveva anche questa storia, meravigliosa, raccolta da Arbasino, da raccontare.