C’è la corsa del pavé, la corsa dei muri, ma anche la corsa dei muli, c’è la corsa delle strade bianche. C’è la corsa di apertura e c’è anche quella di chiusura, c’è la corsa di primavera e da qualche parte ci sarà anche quella di mezza estate. C’è la corsa di un chilometro il Chilometro del Corso, dal 1984 al 2005, a Mestre), la corsa dei due mari (la Tirreno-Adriatico) e dei tre mari (anche lo Jonio, dal 1919 al 1949), la corsa delle tre capitali (Torino-Firenze-Roma, nel 1911). C’erano la Corsa Regina Madre (nel 1907), la Corsa di Coppi (dal 1964 al 1967), la Corsa Territoriali (nel 1915) e la Corsa Vittorio Emanuele III (nel 1908). C’era addirittura la Corsa Nazionale (dal 1902 al 1908). In Svizzera, invece, c’erano la Corsa dei Tre Laghi e quella dei quattro cantoni (in verità erano Tour). C’è poi la corsa all’oro, la corsa al podio, la corsa al primo, al secondo e al terzo posto. Volendo, ci sono ancora la corsa al petrolio, agli armamenti, agli accaparramenti. C’è sempre la corsa dell’anno, la corsa del secolo, la corsa del millennio. C’è perfino – così avevo battezzato un mio libro sul Tour du Faso, il Giro del Burkina Faso - la corsa più pazza del mondo. Sul sito memoire-du-cyclisme.eu si documentano la Course coulisse théatrale & sportive (belga, del 1891), la Course à la mer (francese, del 1947), la Course du Petit Marseillais (francese, del 1896), la Course du Soleil de Nice (francese, del 1912),
E poi c’è la corsa di set strepp, che in romagnolo significa sette strappi. E’ la Coppa Caduti di Reda (l’edizione numero 46 della storia). La organizza la Società cicloturistica La Roda. In due parole: la Roda di Reda. Si disputa domenica 3 aprile, dalle 13, a Reda, in provincia di Ravenna. Distanza: 145 chilometri. E per i dilettanti Under 23 ed Elite è così importante che vale anche come Giro della Romagna (edizione numero 67), Memorial Cornacchia Stefano (edizione numero 40) e Gran premio Conclima, nonché sentimentalmente come il Fiandre di Romagna. L’albo d’oro è di quelli che ripassano la storia del ciclismo. Chi vince qui, si dice, ha il futuro garantito.
Ma per me la Roda di Reda è la corsa di Picio. E’ vero che dietro una corsa c’è un club, una comunità, una città, un comitato. E’ vero che dietro una corsa ci sono tanti sponsor e tante associazioni. E’ vero che dietro una corsa c’è sempre il camion-scopa che salva, accoglie e recapita al traguardo i corridori ritirati. E’ vero che dietro – anzi, dentro – una corsa ci sono i volontari, che magari presidiano un incrocio o uno spartitraffico, sembra niente e invece è fondamentale. E’ vero che dietro – anzi, davanti, in mezzo e dietro - questa corsa c’è il Gruppo sportivo Progetti Scorta con la regia di Silvano Antonelli. Ma per me la Roda di Reda è soprattutto la corsa di Picio, che all’anagrafe risulta come Giovanni Calderoni, ma che tutto il mondo del ciclismo conosce come Picio.
Picio sembrava destinato al calcio, poi si convertì al ciclismo, con il risultato che il calcio ha perso poco o niente e il ciclismo ha guadagnato un testimone (“Un giorno mi presero su per andare a vedere Bartali e Coppi, fu un’apparizione, una rivelazione, un miracolo”), un corridore (“La prima corsa, a 18 anni, fu quasi l’ultima, partii davanti e finii dietro”), un ambasciatore (“La mia biglia era quella con Rudi Altig”), un sostenitore (“Per tutti i corridori, meglio se matti come cavalli, tipo Meo Venturelli”), un volontario (“Mai pagato, al massimo un piatto di maccheroni”), un appassionato (“Il ciclismo è sport stradale, democratico, socialista e comunista”).
Il giorno della Roda a Reda, Picio ringiovanisce: “Il ciclismo mi fa tornare bambino”. Dentro. E non è l’unico cui faccia questo scherzo.
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