I trionfatori di un giorno, di una corsa, di una gara. I quasi eroi, i quasi fuoriclasse, i quasi assi. Gli abbonati al secondo posto, al podio, al piazzamento. I fenomeni sottovalutati, incompresi, scordati. Chi s’illumina d’immenso e poi di meno e poi più. Quelli che hanno i piedi per aria.
Gianni Cerasuolo ha raccontato in “Piedi per aria” (Succedeoggi Libri, 160 pagine, 14 euro, con introduzione di Maurizio Crosetti) sedici “storie di campioni dimenticati e maledetti”. Tra calcio (Garrincha, Andrade, Guaita, Sindelar, Mekhloufi, Best, Di Bartolomei e Lojacono) e pugilato (Rukeli), automobilismo (Senna) e atletica (Miguel, Consolini e Gelsomini), c’è anche il ciclismo.
La prima storia è quella di Michele Dancelli alla Milano-Sanremo del 1970. “Lungo la via Aurelia, l’ossessione era rappresentata da diciassette anni di vittorie straniere”, “ciclista amato e snobbato, Michele, per quel suo modo di correre alla garibaldina, mai allineato, un po’ pazzerellone”, la fuga di un gruppetto nata a 200 km dall’arrivo e poi solitaria a una settantina dal traguardo, “si disse che a bordo dell’ammiraglia, Pietro Molteni, quello dei salami, promettesse l’azienda al corridore di Castenedolo per spronarlo: ‘Se te ghe la fet, te regali el stabiliment’”, infine “aprì le braccia larghe come fosse stato messo in croce e cominciò a piangere”.
La seconda storia è quella di Raymond Poulidor, che “aveva il fascino del perdente”, “era un signor corridore che agguantò Vuelta e Sanremo e tante altre corse: grintoso, generoso, ma spesso finiva sui podi più bassi”, il suo avversario era Jacques Anquetil, “giocavano a carte insieme”, “uno era il contrario dell’altro”, “freddo, raffinato e sultano Anquetil”, “semplice, contadinotto e fedele, la faccia squadrata e tratti duri Poulidor”, “quando Poulidor andò a trovare Anquetil, che stava morendo, i due parlarono a lungo. Alla fine, Anquetil rivolto all’antico rivale disse: ‘Mi sa che arrivi secondo anche stavolta...’”, e quando fu Poulidor a morire Gianni Mura affibbiò un 4 al “Corriere dello Sport” e un 5 alla “Gazzetta dello Sport” (“ma solo per l’affetto che ancora nutriva per il giornale rosa”), perché non avevano messo la notizia in prima pagina.
La terza storia è quella di tante storie difficili, le storie di ciclismo e d’amore (e di sesso), fra tabù e divieti, astinenze e ascetismo, pregiudizi e preconcetti, trasgressioni e scandali. E passione. Come per la cantante Edith Piaf, che al suo amante, il pistard più volte campione francese Louis Gérardin, scriveva “vorrei coccolarti, essere ai tuoi piedi e fare l’amore sin quasi a morirne, annientata da te, fare l’amore ancora meglio, non avere più alcun pudore, abbandonarmi totalmente al desiderio, non essere più su questa terra, essere stanca al punto di non avere più la forza di dire ‘ti amo’”. Ma anche fachirismo. Come per Costante Girardengo, che “di notte si legava il pistolino con lo spago per evitare polluzioni che lo sfinissero prima di una gara”.
Lo sport ispira, affascina, seduce. Lo sport è un pozzo, una miniera, un giacimento di storie. Lo sport è un tesoro, una ricchezza, un patrimonio di tutti. Lo sport è, come in “Piedi per aria”, un’antologia di vite letterarie. Chi ha i piedi per aria, talvolta ha anche la testa fra le nuvole, ma sulla terra lascia scie, tracce, impronte eterne.