A Monte di Malo si andava a veder nascere il sole, “una piccola palla fluida”, “il globulo di materia fusa galleggiava e vorticava sopra l’orlo della nuvola”, “pareva che nuotasse”.
Oppure a Monte di Malo si andava ad allenarsi in bicicletta, “o direttamente, o per Priabona, o per San Vito”, “di ogni percorso esistevano primati stagionali, mensili e settimanali che importava battere”, “le arrampicate erano faticose e piuttosto solitarie”.
Il 2022 è il centenario della nascita non solo di Beppe Fenoglio (1° marzo) e Pier Paolo Pasolini (5 marzo), ma anche di Luigi Meneghello (16 febbraio). Scrittore (“Libera nos a Malo”, innanzitutto, anche per cronologia, 1963, da cui sono tratte quelle citazioni) e accademico (a Reading, in Inghilterra), alpino e partigiano, le sue opere tradotte sia nel cinema (da Daniele Luchetti) sia nel teatro (da Marco Paolini). La bicicletta fa parte del mondo semplice e letterato di Meneghello, della sua vita familiare e territoriale.
Ancora in “Libera nos a Malo” il ciclismo diventa un punto di riferimento e di sostegno. La salita: “La loneliness del long-distance runner non è niente di fronte a quella dell’aspirante routier che s’allena in salita per il giro di Francia. In verità questa solitudine è orribile; lo sforzo sparge veleni in tutto il corpo, il dolore serpeggia ora al centro del petto, ora a sinistra dove c’è il cuore che si sente chiaramente trapassare da aghi infetti. S’intorce un cordone di muscoli, poi un viscere della pancia, poi una vena del collo”. E la discesa: “Tale è l’esperienza del routier in salita, impegnato a non fermarsi fino in cima, quando la bicicletta per incanto s’alleggerisce, comincia a scendere da sé, trasporta filando con un dolce brusio il ragazzo semisvenuto che ridesteranno i pizzicotti del sudore rasciugato dal vento”.
Le avventure: “A volte infliggevamo anche ai piccoli questo supplizio sulle salite più modeste. Gaetano giovanissimo fu indotto a salire con noi a Priabona sulla sua biciclettina: molto prima di arrivarci era già tramortito, non sentiva più gli incoraggiamenti dei suppliziatori; noi del resto ci eravamo già pentiti, capivamo di avere ecceduto. Arrivò in condizioni che non è opportuno descrivere”. E le disavventure: “Senza dir nulla a nessuno mi portai Bruno, forse tredicenne, alla più atroce delle prove in salita, il ‘Passo’, tra il Pasubio e il Cornetto. Era già eccezionale che lo facessi io adolescente; sapevo che con Bruno saremmo arrivati allo stremo. Per incoraggiarlo gli diedi la Ganna col ventiquattro, che è un rapporto strapotente, e mi presi la inadattissima Schwalbe della mamma”.
Fino al... dietro motori: “Lo scatto autolesionistico deve cominciare quando la corriera è ancora lontana; quando arriva ha sempre un surplus di velocità che sorprende, e mentre la coda ci supera bisogna alzarsi in piedi, saltare nel risucchio, scrollare la bicicletta come chi ha perso il lume degli occhi. Questo lume del resto si è effettivamente perduto, non ci si vede più, e ingolfati nel risucchio si segue per un po’ la corriera alla cieca”.
Proprio per il centenario della nascita, di Meneghello la Rizzoli Bur ha pubblicato “Spor – raccontare lo sport tra il limite e l’assoluto” (216 pagine, 12 euro): “Non ho mai parlato della mia opera in termini di libri; li ho sempre chiamati ‘roba che ho scritto’. Non ho mai pensato di aver avuto una carriera. Da bambino avevo una sola aspirazione, partecipare alle Olimpiadi del 1940 e vincere tre gare da niente, i 100 metri, la maratona e il salto con l’asta. C’è stata di mezzo una guerra e non ho potuto realizzare il mio sogno”.
In “Spor” Meneghello ancora una volta si racconta. E il ciclismo ritorna. “Andare a vedere le corse, quelle che passano e non le vedi più, e quelle che passano e ripassano in una specie di moto circoscritto. Andare ad aspettarle, le prime, in cima a un monte. Quando arrivò il gruppo di testa, S. notò che Malaman per vederli aveva socchiuso gli occhi e pareva che li strizzasse”, “i primi due o tre passarono svelti e veementi, alcuni altri dietro un po’ meno vispi, il resto sgranati e molto più malridotti che S. non potesse aspettarsi”, “non pedalavano quasi più, li spingeva a turno una catena di spettatori scamiciati, qualcuno li annaffiava: erano inebetiti, e dicevano in continuazione ‘spingi!, spingi!’”.
Bicicletta e ciclismo sono pane quotidiano, argomento da diario. 6 gennaio 1965: “C’era dalle nostre parti un noto corridore ciclista di cui si diceva che era molto bravo in ciascun ramo del suo mestiere (ottimo passista, tra i più bravi in volata, forte in montagna, eccezionale a cronometro) ma che gli mancava l’ultimo smalto, la virtù di arrivare primo sulla fettuccia d’arrivo che da noi si chiama cordèla. ‘No ‘l taja cordèle!’ dicevano di lui scuotendo la testa”.
Se sei giá nostro utente esegui il login altrimenti registrati.