ALESSANDRO COVI, "IL PUMA DI TAINO" RACCONTA I SUOI SOGNI

PROFESSIONISTI | 25/02/2022 | 08:08
di Giorgia Monguzzi

Alessandro Covi è uno dei talenti più interessanti del panorama ciclistico italiano: dopo un 2020 in sordina e minato dalle difficolta legate alla pandemia, il ventitreenne varesino è reduce da una stagione ricca di interessanti risultati. Il 2021 è stata un’autentica conferma del suo potenziale di cui si è avuta riprova durante il Giro d’Italia, corso da esordiente, in cui ha conquistato un secondo posto nella spettacolare tappa di Montalcino e un terzo nella scalata al Monte Zoncolan. Alessandro è andato veramente vicinissimo alla vittoria raccogliendo una serie di piazzamenti nel­le corse italiane, soprattutto nell’ultima parte di stagione, vincendo tra l’altro la speciale classifica del Trittico Lombar­do. Il suo mito è Damiano Cunego e per il momento sogna di vincere una cor­sa di un giorno, magari nella sua Varese. Per lui il 2022 sarà il terzo anno da professionista con la UAE Emirates, un top team nel quale cresce accanto alla stella Tadej Pogacar, suo coetaneo.


«Dal 1° gennaio 2022 mi sono spostato a Monaco e così avrò la possibilità di allenarmi con i miei compagni praticamente ogni giorno cercando di impegnarmi in nuove sfide anche fuori dalle gare: l’Italia è però nel mio cuore, è qui che sogno di vincere una grande corsa, dopo tutto mi bastano tre ore di macchina per essere a casa».


Un passo indietro: hai corso un grandissimo 2021, sei soddisfatto di quello che hai fatto?
«Per me il 2021 è stato un ottimo anno e ne sono estremamente contento. Il 2020 è stato veramente sfortunato, eravamo in una situazione di totale emergenza, hanno cancellato le corse e poi ho preso io stesso il covid che mi ha bloccato e costretto a rinunciare alla Vuelta. Nonostante abbia corso poco avevo già capito che questo era il mio posto e che sarei potuto andare forte anche tra i professionisti. Ho iniziato il 2021 con una prospettiva molto diversa, nel mio piccolo volevo ottenere dei buoni risultati fin da subito in modo di avere la spinta giusta per af­frontare tutta la stagione. In squadra ci sono delle gerarchie da rispettare, ma so che, se sono bravo a sfruttare le oc­casioni che mi vengono concesse, ot­tengo dei buoni risultati. Ho sempre cercato di mettermi alla prova e sono contento di aver ottenuto ottime conferme: tutta questa esperienza ha fatto crescere la fiducia in me stesso».

Tutti abbiamo ancora negli occhi il tuo secondo posto nella Perugia-Montalcino, l’undicesima tappa del Giro 2021 sugli sterrati delle Strade Bianche…
«Quella tappa in particolare è stata ve­ramente emozionante, le gare di questo genere mi gasano letteralmente perché mi ricordano il ciclocross, specialità che ho praticato fino alla categoria junior. La gara è stata bellissima, ma non mi è piaciuto come ho reagito io, non ho saputo gestire la grande pressione che avevo sulle spalle, ero in difficolta. Molto probabilmente è stata l’ansia per la prima partecipazione al Gi­ro o semplicemente non era il mio momento, sono arrivato talmente vicino alla vittoria che avrebbe potuto an­darmi sia bene che male. Per certi versi forse è giusto così, se avessi vinto tutti avrebbero detto che non avevo sbagliato nulla, in realtà sono molte le cose che non sono andate e mi è servita da lezione, con il tempo ho iniziato a mettere da parte il rammarico e a trarne un insegnamento».

Come hai trascorso il periodo di stop tra il 2021 e il 2022?
«Il periodo senza corse è stato praticamente uguale a quello degli ultimi anni, ho fatto un mese e qualche giorno di stop in cui non ho toccato la bici, ho ripreso piano piano cercando di rimettermi in forma in vista del ritiro in cui abbiamo aumentato il carico di lavoro. Passare un inverno senza troppi intoppi è fondamentale, ma sono convinto che la forma possa arrivare solo con le gare, c’è ancora un grande margine di miglioramento, spero solo di non avere uno stop proprio ad inizio stagione co­me è successo l’anno scorso».

Il team UAE è sulla carta una squadra degli Emirati Arabi, ma in realtà ha una forte componente italiana sia nello staff che tra gli atleti. Come ti trovi con gli al­tri italiani del gruppo?
«C’è un buon rapporto con tutti, ma quelli con cui ho legato di più sono in assoluto Ulissi e Troia. Conosco Oli­viero da molti anni, siamo amici ed è una grandissima persona con la testa sulle spalle. Diego invece è diventato per me un autentico modello, spesso siamo stati compagni di stanza, abbiamo fatto un Giro d’Italia insieme, è con lui che ho corso la maggior parte delle gare della mia breve carriera, è un ragazzo eccezionale che ha vinto tanto e vincerà ancora, mi ha dato consigli fondamentali per migliorarmi sempre di più».

Tra te e Tadej Pogacar c’è poco più di una settimana di differenza di età: com’è avere in squadra una stella di questo calibro?
«In realtà conosco Tadej da molto tem­po, avendo la stessa età abbiamo corso insieme fin da quando eravamo ragazzi anche nelle corse nazionali perché spesso gli sloveni venivano a gareggiare in Italia, già in quelle occasioni ci dicevano di fare attenzione a lui. Du­rante il suo primo anno da prof in UAE io ero stagista e così abbiamo avuto la possibilità di legare ancora di più, ora è diventato un autentico fuoriclasse e devo dire che è strano crescere con un ragazzo nato solo alcuni giorni prima di me e poi vederlo fare un salto del genere. Nutro grande ammirazione nei suoi confronti, è giovane, ma è già entrato nella storia del ciclismo».

Avete corso insieme proprio nella tua gara di casa, la Tre Valli Varesine…
«Un po’ mi dispiace avere corso solo una volta con lui, ma mi è piaciuto tantissimo affiancarlo, spero di avere qualche possibilità in più durante questa stagione anche se i nostri calendari so­no un po’ differenti. La Tre Valli Va­re­si­ne per me è stata un’emozione grande perché correvo in casa, purtroppo ero un po’ stanco, il giorno prima ave­vo cercato di fare risultato alla Cop­pa Bernocchi che era stata parecchio du­ra, Tadej lo sapeva, ma mi ave­va detto che se fossimo arrivati in volata avrebbe dato a me la possibilità di giocarmela. Pogacar è fortissimo, ma non è assolutamente un cannibale, è un ragazzo gentile e pacato che è pronto anche ad aiutare i suoi compagni».

Dopo il tuo grande 2021 pensi che cambierà il tuo peso in squadra?
«Sinceramente non mi sembra che sia cambiato molto; lo so, probabilmente in futuro mi daranno più responsabilità e maggiori possibilità di dire la mia. In realtà dentro di me tutto è rimasto im­mutato, mi presento alle gare con la stessa determinazione che avevo prima: se avrò le gambe buone me la giocherò sicuramente, altrimenti cercherò di mettermi a disposizione della squadra. L’importante è rimanere realisti circa le proprie possibilità».

Se dovessi scegliere un unico grande obiettivo per il 2022?
«Il mio obiettivo più grande, dopo aver finalmente vinto in Spagna nelle ultime settimane, è alzare ancora le braccia al cielo La mia prima gara in Italia sarà il Tro­feo Laigueglia, a marzo farò praticamente quasi tutte le gare che ci sono nel nostro paese come Strade Bianche, Mi­lano-Torino, Milano San­remo, Cop­pi&Bartali e Gp Industria e Artigia­na­to a Larciano. Il grande appuntamento della stagione sarà il Giro».

Ti senti più un corridore da prove di un giorno o di gare a tappe?
«Attualmente mi reputo un uomo da corse di un giorno, non ho ancora provato a testarmi, ma penso che siadavvero impegnativo cimentarsi in un grande giro per fare classifica. Chissà, forse in futuro potrei misurarmi in brevi corse a tappe, dopo tutto al Giro di Sicilia dello scorso anno sono andato piuttosto bene. Sicuramente durante questa stagione capirò cosa voglio diventare».

La corsa dei sogni?
«Vincere una tappa al Giro sarebbe un sogno, esserci andato così vicino per ben due volte mi mette un po’ di rammarico, ma ho ancora tanto tempo dal­la mia. Essendo originario della provincia di Varese, un grande desiderio è vincere la Tre Valli, è la corsa di casa e ha un posto speciale nel mio cuore. In realtà sono legato ad un po’ tutte le corse italiane: ci sono la Sanremo, le Strade Bianche, il Lombardia…, da italiano non posso che puntare a quelle».

Pensi mai alla maglia azzurra?
«Ci penso tantissimo. L’anno scorso per poco non sono andato a fare gli Eu­ropei. Cassani mi aveva inserito nella pre-selezione, poi sono caduto due volte al Giro di Germania e ho do­vuto rinunciare, mi è andata male an­che ai mondiali perché ho avuto un calo di forma a seguito alle botte subite. La maglia azzurra è sempre stata nei miei pensieri, mi è dispiaciuto non poter dire la mia; non ho ancora avuto modo di parlare con Bennati, ma spero di poter dimostrare che posso essere una pedina importante».

La fine del 2021 è stata segnata purtroppo anche dal brutto incidente di Johnny Ca­rera, uno dei tuoi procuratori, che tu avevi salutato nemmeno un’ora prima…
«È stato un momento terribile che mi ha toccato proprio in prima persona. Nemmeno un’ora prima eravamo insieme a ridere e scherzare per festeggiare il mio fanclub e poi è arrivata la tremenda notizia. Ho vissuto la vicenda quasi come un figlio aggiunto perché ho praticamente saputo dell’incidente quasi in contemporanea, ero sotto shock e sono corso subito in ospedale per vedere come stesse. Sono tornato a casa perché la situazione sembrava tranquilla, ma poi il mattino dopo è peggiorato, è stato un colpo tremendo perché Johnny ha veramente rischiato la pelle. Fortunatamente però si è ri­preso e poco alla volta si sta rimettendo del tutto».

Vicenda che è la riprova di quanto il rapporto tra corridore e procuratore vada spesso oltre il semplice lavoro…
«Sono molto legato ad Alex e Johnny Carera, quando si ha a che fare con persone con cui si va d’accordo, il rapporto lavorativo diventa una vera amicizia. La notizia di quell’incidente mi ha pietrificato, ancora og­gi se ci penso mi commuovo, è stato un mo­mento veramente brutto che ho continuato ad accusare an­che nelle settimane successive, tanto che ho dovuto ca­lare l’intensità degli allenamento perché non riuscivo a trovare la giusta concentrazione. Poi, quando la situazione si è stabilizzata, sono stato meglio anch’io e sono riuscito a riprendere l’attività. Non è stato un momento facile».

La sera dell’incidente stavate festeggiando il tuo fanclub. Da dove viene il nome “puma di Taino”?
«Si tratta di un soprannome buffo che mi avevano dato i miei compagni quando ero tra gli Under 23, lo avevamo fatto per gioco, poi l’ho pubblicato sui social, è piaciuto e così è diventato ufficiale. Nello stemma del fanclub è disegnato un puma, mi ricordo che i miei amici che volevano organizzare la cosa continuavano a scervellarsi perché non trovavano un logo, poi si sono accorti di averlo avuto sempre sotto i loro occhi, anzi sul mio braccio. Il disegno deriva proprio da un tatuaggio che ho io, in pratica mi porto il puma sempre con me. Ammetto che è un animale in­solito, ma mi piace molto e nel corso di questa stagione spero proprio di fargli onore».

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