Abbiamo chiuso l’annata e ne abbiamo cominciata una nuova con una questione irrisolta, a quanto pare di vitale importanza: quale è il grande giro più importante dopo il Tour.
Dico la verità: già le gare in cui si corre per il secondo posto prima ancora di cominciare proprio non mi appassionano, men che meno mi agita il sonno questa discussione salottiera scatenata dal direttore della Vuelta, Javier Guillen, dunque di una parte in causa, dunque schieratissimo sulla sua corsa nel modo più prevedibile e scontato. “Ormai dopo il Tour viene la Vuelta”, la sua analisi obiettiva e spassionata. Ma va? Pensa il clamore: il direttore della Vuelta dice che la Vuelta è un capolavoro. Una sorpresa sconvolgente. Eppure, tutti in piedi a rimboccarsi le maniche e a menare sganassoni.
Dalle nostre parti, due reazioni diverse, però entrambe di pancia: i disfattisti antagonisti pronti a sfruttare l’assist per dire ecco vedi, l’avevo sempre detto, il Giro non vale più una sverza, ormai la Vuelta l’ha surclassato, dall’altra parte i nazionalisti patriottici pronti a scavare trincee e a erigere barricate per difendere l’onore dell’Italia e del made in Italy, a prescindere, con riflesso condizionato, al grido guai a chi parla male di mia moglie, se ne guardino bene, caso mai ne parlo male io, ma soltanto io.
E allora? Allora è una questione vuota, insulsa, inutile. Uno dei classici casi in cui tutti avranno sempre ragione e nessuno avrà mai torto. Chi può dire e certificare oggettivamente se oggi come oggi vale di più il Giro o la Vuelta? In base a quali criteri? Nel mondo e nell’epoca del relativo, questi sono discorsi relativi al massimo. Dipende. Soprattutto dalle visuali: chiaramente dalla Vuelta diranno meglio Vuelta e dal Giro diranno sempre meglio il Giro, loro che li fanno. Ma allargando il discorso: corridori e squadre, stringi stringi, considerano più importanti le corse che premiano, pagano, rendono più e meglio, come hanno dimostrato per anni nel caso estremo del Giro di California messo davanti al Giro (calmi, è un esempio per capirci). Per i giornalisti, può essere più decisiva la storia, con corredo di glorie e imprese epiche. Per il tifoso, la corsa vinta dal proprio campione. E così via.
Impossibile dunque stabilire un criterio e una gerarchia quanto meno attendibili, meno lunatici e meno relativi delle interessate disquisizioni personali. Io, da parte mia, ho sempre pensato che il marchio in sé dica poco. Più esplicitamente: restando all’oggi, preferisco un duello Pogacar-Roglic al Giro che un duello Pinot-Bardet al Tour, parlando sempre di ipotesi. Hai voglia di dirmi che il Tour è più importante e prestigioso del Giro: in questo caso, per me, non c’è neppure il bisogno di avviare la discussione. Ovviamente parlo di campioni veri che corrano e lottino davvero, non di pseudoturisti che partecipano a certe gare solo per allenarsi o intascare il gettone, vedi certe corse esotiche di ultima generazione, nei luoghi più improbabili e astrusi del pianeta.
Basta chiacchiere e passiamo oltre, perciò. Vediamo di non alimentare il pollaio e cerchiamo piuttosto di badare alla sostanza. Anzichè alzare il tricolore e fare i permalosi, dimostriamo nei fatti alla Spagna che cos’è il Giro. Lo facciamo da un’epoca immemorabile, senza tante classifiche a tavolino e tanti stupidi orgogli, dobbiamo continuare a farlo nel modo più sereno ed efficace. Sempre se ne siamo ancora capaci.
da tuttoBICI di gennaio